Il ruolo dello psicoterapeuta. Una scelta tra due poli
Il ruolo dello psicoterapeuta: bivio tra due posizioni contrapposte.
Non è per niente facile zittire il Sofista incline alla retorica che inevitabilmente alberga in noi psicoterapeuti, almeno in certe occasioni. E – in vece sua – far parlare quelle tracce di Socrate votato alla maieutica che pure dovremmo possedere. E coltivare, soprattutto.
Certo: possiamo tentare di dare la colpa ai pazienti (a certi pazienti ed a certe sedute in particolare) se riescono a tirare fuori il peggio di noi: quella “prostituta della cultura” per usare la sferzante definizione del Sofista usata sia da Socrate che da Platone. Ma questa proiezione della responsabilità sull’Altro è una operazione troppo vistosa e politicamente scorretta per poter passare inosservata e funzionare davvero. Oggi come oggi, perlomeno. Nel nostro lavoro clinico quotidiano – volenti o nolenti – noi psicoterapeuti dobbiamo quindi fare i conti con questo dilemma dicotomico, certamente qui estremizzato ma pur sempre vero: esser socratici od esser sofisti? Per citare Totò, si tratta di decidere se vogliamo essere “uomini o caporali”. Due figure antitetiche, dunque..
Sofista o Socratico?
Il Sofista, da una parte: baro della parola, prestigiatore dell’argomentazione, truffatore del sillogismo logico, l’imbonitore retorico che non è mai uscito di moda e che oggi, nel XXI secolo della comunicazione virtual-globale, vive un suo nuovo momento di gloria facendosi largo a gomitate nella vasta folla dei comunicatori che non hanno niente da dire ma – accidenti a loro ! – lo sanno esporre così bene, in modo così convincente. Aria fritta, insomma. Però fritta a regola d’arte.
Il Socratico, dall’altra: che, sapendo di non sapere, pone continui interrogativi sia a sé che agli altri (soprattutto a quelli più ammanettati alla certezza delle loro convinzioni), che – a differenza di Descartes – si sente vivo ed esistente non tanto quando pensa ma semmai quando dubita e che maieuticamente tira fuori le convinzioni davvero personali del suo interlocutore, così da far nascere in lui una conoscenza più autentica.
Oggi il Sofista rivive un nuovo momento di gloria perché il suo bla-bla trova orecchie ancora più attente di ieri ad assorbire avidamente verità e dogmi che illuminino la quotidiana nebbia di senso. I media ora lo chiamano con un nome nuovo: l’Esperto.
Egli blatera ovunque, non solo più spettacolarmente nei monitor TV ma anche in luoghi decisamente più chiusi e privati. Una temibile e specifica sottospecie di Sofista, lo Psico-esperto, si esercita prevalentemente in luoghi giustamente segreti, quali sono gli studi professionali dove ogni giorno vanno in pellegrinaggio migliaia d’anime in pena. Costui maneggia le teorie meglio di quanto un cuoco si destreggi con gli ingredienti, ha una spiegazione per tutti i dubbi e gli interrogativi del suo interlocutore, si sente assai scientifico e non esiste che risponda a domanda con un’altra domanda : perché lui ha una risposta pronta per tutto e per tutti. Non importa che sia perfettamente inutile: è comunque pronta. Del resto se questa “prostituta della cultura” fa bene il suo lavoro, che male c’è ? La soddisfazione del cliente è assicurata.
Dall’altra, il Socratico si sente in un tempo non suo, vive abbastanza da clandestino e, come un migrante che nei ristoranti cerca disperatamente di vendere rose a clienti infastiditi, stenta parecchio a trovare interlocutori interessati. Di tanto in tanto, tuttavia, trova un qualche spazio di incontro: perché in giro qualcuno stufo d’essere intossicato dalle sentenze degli esperti ancora c’è, effettivamente. Qualcuno che pensa che la sua anima e la sua vita non siano come una misteriosa apparecchiatura elettronica da portare al tecnico di turno, che penserà lui ad aggiustare il tutto in breve tempo. Qualcuno che trova piacere – incredibile ma vero, come titola l’omonima rubrica di una storica rivista enigmistica – a confrontarsi con qualcun altro che gli faccia riscoprire il piacere del pensare da sé e la gioia (ohibò : si, proprio la gioia, il piacere, il gusto) di cercare una propria risposta autonoma e personale. Non preconfezionata da altri.
Il ruolo dello psicoterapeuta.
Quale ruolo scegliere, dunque?
Tutto chiaro e tutto semplice. Si: sulla carta però. Perché nel mondo reale niente o quasi è così semplice e dicotomico come scegliere il ruolo dello psicoterapeuta. Ed ancor più nel mondo della psicoterapia. Per essere chiari: siamo stati tutti sofisti, almeno una volta, noi psicoterapeuti. Ed alzi la mano quel collega di fede socratica che, oltre ad essere stato sofista un tempo, non rischia ogni tanto di ricascare nella retorica sofistica, anche se magari solo per la sbandata di un attimo. Magari per colpa di quel paziente così confuso da aver bisogno di parole forti, chiare e soprattutto sicure.
Perché questo? Non solo perché la natura umana è debole e certi pazienti abili a portarci dove vogliono loro.
Ma perché per lo psicoterapeuta c’è uno stress in più. Per lui non si tratta solo di dirsi e di dire chiaramente al paziente “so di non sapere”. Si tratta di ben di più e di peggio, si tratta di dire al paziente “riconosco ed ammetto, a me ed a te, che non so che cosa dirti, perché non so capire né risolvere il tuo problema, perlomeno in questo momento”.
Ammettere, assieme alla propria ignoranza, anche l’impotenza (forse momentanea ma forse anche no) del terapeuta che non riesce a curare. E magari, prima ancora, a capire.
Sono convinto che, in certe condizioni ed in certe situazioni cliniche-psicoterapeutiche, questa “docta ignorantia” sia uno dei fattori terapeutici più potenti per certi nostri interlocutori, per alcuni pazienti. Sembriamo loro più umani.
In qualche caso, perfino, solo e semplicemente umani. La forza della verità in quanto tale, e la nostra capacità emotiva di ammettere certe verità, a volte ha la capacità di far scogliere la cappa di smog che oscura il senso del nostro vivere allo stesso modo di un temporale estivo.
Dr. Fabrizio Rizzi