Rapporto padri figli. Che fine hanno fatto i padri?
Rapporto padri figli. Una relazione complessa.
Nel corso di questo secolo, in modo lento e differenziato, il ruolo del padre nella famiglia si è trasformato rispetto a qualche decennio fa quando era presente una rigida individuazione tra maschile ed femminile, con inevitabili ripercussioni nei ruoli genitoriali all’interno del nucleo familiare.
Tutta la letteratura psicologica mette in evidenza il ruolo differenziante dei genitori, mostrando come madri e padri giochino funzioni diverse e complementari nell’educazione dei figli e nella trasmissione di competenze e valori. Molte ricerche dimostrano come, lungo il percorso di crescita dei figli, la compresenza di un “codice affettivo materno” improntato alla cura, alla protezione e all’accoglienza incondizionata e di un codice paterno espresso dalla responsabilità, dalla norma, dalla spinta emancipativa siano fondamentali per garantire un’equilibrata evoluzione dell’identità personale.
Rapporto padri figli. Il padre contribuisce a definire l’identità del figlio.
Il padre contribuisce a definire l’identità del figlio, come altro da sé e dalla madre. Nel momento in cui il figlio si sente chiamato con il proprio nome e riconosciuto come altro, cioè con un proprio corpo, una propria pelle, un proprio pensiero, una propria individualità, può separarsi da quell’utero nel quale è stato contenuto e cresciuto e sentirsi nato. E’ questo uno degli aspetti fondanti del rapporto padri figli: la funzione paterna consente la separazione dall’utero accogliente per entrare in un nuovo mondo; è la stessa funzione che consentirà all’adolescente prima e al giovane poi, di separarsi dalla famiglia ed entrare nel mondo sociale.
Rapporto padri figli nel pensiero psicoanalitico.
Nel contesto del rapporto padri figli, la funzione paterna è stata molto valorizzata da Freud, che individuò la sua importanza soprattutto nei processi legati alla costituzione e all’elaborazione del conflitto di Edipo, allo sviluppo dell’identità sessuale, all’interiorizzazione di un codice etico e morale e allo sviluppo del Super-Io.
Il padre è il testimone della ferita iniziale, quella che rompe la simbiosi madre-bambino e aiuta il figlio a vivere in maniera strutturante le difficoltà della vita educandolo al desiderio. Senza di esso il figlio rimane nella simbiosi, nella stasi che gli impedisce di trasformare tale perdita da esperienza distruttiva a passaggio indispensabile per la costruzione della propria identità.
Simbolicamente il padre rappresenta la legge e l’autorità, parola latina “auctoritas” che deriva dalla radice del verbo augeo, che significa “far crescere”.
E’, pertanto, il portatore del simbolo della relazione con la realtà, in quanto definisce i significati necessari alla sopravvivenza, sia fisica che psicologica, con il mondo esterno attraverso il suo ruolo etico e culturale.
Rapporto padri figli. Chi è dunque il padre assente?
E’ Il padre autoritario ma non autorevole che fallisce perchè utilizza il distacco emotivo e la durezza per far rispettare le proprie regole perdendo così le opportunità educative che l’autorevolezza gli consentirebbe ma, soprattutto, non sfrutta quello che pare essere l’ultimo vantaggio che rimane ai genitori per essere ascoltati: l’amore.
E’ il padre che si pone nei confronti dei figli come compagno di giochi rinunciando ai suoi doveri educativi. Egli diventa l’amico dei figli, ma un padre non è un amico, un padre è un educatore il quale per fare bene il suo lavoro si pone su un piano diverso dall’educando, ha un’autorità e deve avere lo spazio e la forza di prendere decisioni impopolari e forti, cose che un “amico” non può fare.
E’ il padre materno che fallisce perché, pur occupandosi con dedizione ai figli, appiattisce il proprio ruolo in una mera duplicazione delle attività e delle modalità materne. Questo modo di essere fa mancare ai propri figli la figura virile di un padre che fa il padre con un suo stile, un suo metodo, una sua sensibilità. La valorizzazione e l’accentuazione di questa differenza è un patrimonio inestimabile per i figli che, conoscendola, avrebbero l’opportunità di cominciare lo straordinario viaggio verso la scoperta dell’altro, del quale, la scoperta del padre, è la prima tappa.
Rapporto padri figli. La mancanza di una guida autorevole.
La mancanza di una guida, di un punto di riferimento forte che insegni lo spirito di sacrificio e il senso di responsabilità può avere effetti negativi sui figli.
Rapporto padri figli. Il maschio “senza padre”, se ne è privo fin da piccolo, fatica a sentire le proprie potenzialità maschili.
La madre infatti può passargli tutto, con il suo amore e la sua presenza affettuosa, ma non l’istinto le caratteristiche del pensiero e dell’agire maschile. E’ necessario per il figlio maschio identificarsi con un riferimento forte che lo aiuti a interpretare la propria vita in modo autonomo ed originale.
Rapporto padri figli. Nei confronti della figlia, il padre svolge il compito di farsi “scoprire”.
Infatti, la bambina trova facilità ad identificarsi con la mamma. Giocherà a fare la mamma con le bambole e con le compagne, indosserà le scarpe della madre fingendo di esser lei imitandola nei gesti e nei comportamenti. Ma la bambina dovrà differenziarsi dalla mamma per conoscere un “altro” molto diverso: il padre, il maschio da conquistare e dal quale si sentirà amata in modo diverso da quello sperimentato nella relazione con la madre.
Il padre non dovrà spaventarsi di abbracciare la figlia ormai adolescente e quest’ultima non gli negherà il suo amore. Ma l’estrema sessualizzazione dei rapporti oggi spaventa i padri che si allontanano difensivamente dal fantasma dell’incesto lasciando le figlie in tutto o in parte prive di punti di riferimento in un’età in cui sperimentare i comportamenti nell’approccio con l’altro sesso e con la vita in generale è di fondamentale importanza. Il risultato è che la figlia farà fatica, almeno fino a quando non troverà un solido punto di riferimento maschile, ad approcciare l’altro in ogni circostanza della vita: sia nel mondo del lavoro, così come anche nelle relazioni affettive che farà fatica a vivere in profondità e senza paure.
Rapporto padri figli. Il padre “evaporato”.
Il padre oggi è, come direbbe Recalcati, “evaporato” sotto la spinta di una società che ha posto al suo centro il profitto ad ogni costo. Una “società liquida” dove i punti di riferimento di qualsiasi genere sono completamente assenti e dove anche i modelli storici, come quelli religiosi, faticano non poco ad affermarsi o a mantenere le loro posizioni. Una società nella quale il senso del dovere ha lasciato il posto all’edonismo e parole come “autorità” e “patria”, ad esempio, sono rifiutate o semplicemente ignorate. Il termine patria, infatti, quasi non è più in uso, ma è una parola che indica semplicemente “la terra dei padri”. Quella terra, anche metaforica, che i padri lasciano in eredità ai figli che si aspettano di ereditarla insieme con tutti i valori che i loro padri fino ad una certa epoca hanno tramandato. Quella patria che va difesa e che vide Ulisse peregrinare per vent’anni per ritrovarla e per ritrovare suo figlio Telemaco che lo aspettava per raccoglierne l’eredità. I padri di oggi cosa lasceranno in eredità ai loro figli? E quest’ultimi avranno la pazienza di aspettare il ritorno dei loro padri?
Questi sono alcuni degli aspetti salienti del delicato rapporto padri figli.
A cura di : IL RUOLO TERAPEUTICO – Gruppo di Foggia
http://www.ilruoloterapeutico.fg.it/
2 commenti
Bell’articolo. Complimenti.
Ho 22 anni, mi chiamo Maria e con mio padre ho sempre avuto un rapporto altamente conflittuale da diciassette anni a questa parte, in pratica da quando ha preso parte nella mia vita. Tuttavia, in questi ultimi anni il rapporto sta andando sempre più a sgretolarsi, dove io sento chiaramente un rifiuto nel volerlo salutare o comunque parlarci, confidarmi. Già da me sono una ragazza molto chiusa, difficilmente mi confido con i miei genitori, visto che anche mia madre caratterialmente è molto “fredda”. Quindi, tendo spesso a parlare con le mie nonne di qualcosa.
Comunque, dopo essermi diplomata ho deciso di non continuare con l’università ed andare a lavorare, cosa che lui è rimasto molto deluso da questo, ma di questi tempi è difficile trovare lavoro. Sono due anni che non trovo nulla e la pressione di mio padre si fa sentire così tanto che spesso, quando non ne posso più, mi chiudo in bagno a piangere o aspetto che siano tutti a letto per farlo. Mi sento sempre sotto esame e sto arrivando ad un punto che non dormo nemmeno più bene la notte. Oggi sono le 7:30 e sto piangendo ancora perché stamattina mi sono svegliata nel sonno e mi sono ritrovata a sentire mio padre che parlava di me di me con madre, dicendo che io ero una stupidata perché sto sempre seduta sul letto della mia stanza, senza fare niente. Che dopo aver svolto il mio “compitino” ( sarebbe stirare i vestiti a casa e pulire la mia stanza ), poi non faccio più nulla.
Sono sempre le stesse cose, non ne posso più, sono arrivata ad un punto che non riesco più ad ignorare questa pressione psicologica, perché se vado ad evidenziare la cosa poi mi sento anche chiamata “bambina”, perché inevitabilmente piango. Sì, il mio sfogo di rabbia è il pianto e difficilmente riesco a controllarlo, sono molto emotiva e non mi piace questo.
È soffocante, è insostenibile per me ormai. Non basta non riuscire a trovare lavoro, a stare sempre chiusa in casa senza uscire perché ho amici che sono costantemente occupati sempre con le loro cose, a non chiedere mai soldi da diversi anni nonostante io spesso voglia comprare il mondo intero. No, devo anche sentirmi sempre sotto pressione e trascorrere quei venti minuti a cena ( visto che ci vediamo soltanto a cena durante la settimana ) in totale silenzio o col cellulare alla mano, visto che ho costantemente il timore che se apro bocca vengo ammonita o mi devo sentir dire che sono stupida perché ho detto qualche sciocchezza, oppure non posso dire niente perché poi sono sempre chiusa in casa cosa ne posso sapere io di altre cose.
Sono davvero stanca.