Psicologia e Scuola. Un’integrazione possibile.
La rubrica “Psicologia e scuola” ha lo scopo di affrontare le problematiche dei bambini, dei preadolescenti e degli adolescenti lungo quel processo evolutivo che scandisce lo stesso iter scolastico ed il processo di apprendimento.
Psicologia e scuola: la scuola di oggi
Intendiamo rivolgerci, su piani diversi, sia a psicologi, psicoterapeuti, psicoanalisti e agli operatori della neuropsichiatria, sia al pubblico eterogeneo rappresentato dagli studenti, dai docenti ed operatori della scuola e dai genitori, favorendo il confronto e lo scambio di opinioni e di esperienze al fine di dare un contributo al complesso mondo della scuola in cui convergono e vivono, nel processo di insegnamento-apprendimento, modalità differenti di rapportarsi a persone, a contesti e a compiti. Sono queste modalità a cui va prestata grande attenzione, poiché il favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, “nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno” – come si legge nel testo della legge 28 marzo 2003, n.53 riforma Moratti – ed il promuovere conoscenze, competenze e capacità, fonda sulla relazione la cui qualità può determinare il clima di benessere necessario sia per l’apprendimento, sia per un sano sviluppo.
Conosciamo le difficoltà che affrontano gli insegnanti quando hanno a che fare con ‘caratterini’ suscettibili, con chi tollera poco le norme o non tollera di essere corretto, con chi è esuberante o, al contrario, è molto timido o con chi vuole rimanere chiuso nel suo guscio. I capricci, nella scuola elementare ma non solo, le paure, le ansie, le opposizioni e le trasgressioni comunicano dei problemi, dei conflitti e dei bisogni emotivi poiché ogni alunno, bambino o preadolescente od adolescente che sia, è come è e pone i problemi agendo, per la storia relazionale che ha avuto e che ha.
Nella scuola sono presenti situazioni di disagio, manifestazioni di bullismo già nelle elementari che indicano le varie intensità di un “male d’essere” in relazione.
Le condizioni per un’integrazione possibile
E allora, come fare ad entrare in contatto con quello specifico alunno, a creare le condizioni per un’interazione che vuole essere anche didattica?
Benché la risposta richieda un’articolazione che comprenda il supporto di psicologi, dalla presa in carico di determinati bambini e giovani alla realizzazione di sportelli d’ascolto, fino al raccordo con gli insegnanti, riteniamo di prendere qui in considerazione il punto di vista interno alla scuola.
Il transfert è fenomeno universale ed ubiquitario, la relazione didattica, nelle sue due componenti, non ne è esente. Ogni alunno che si sente messo in gioco, di fronte al senso di inadeguatezza, alle paure di perdere la faccia verso i compagni e all’ansia che si generano nel processo di apprendimento che minano la sua autostima, attiva modalità di comportamento e d’ intervento a cui è abituato da sempre, in risposta alle emozioni che vive nelle dinamiche in atto tra i pari e tra i docenti e che si sovrappongono ad altre. Non è un caso che quasi tutti i docenti si siano sentiti chiamare, almeno dai piu’ giovani anche nella scuola media, mamma o papà.
È forse abituato a spuntarla se mantiene un atteggiamento ostinato, o se si mostra indifeso, od offeso o permaloso? E di nuovo, come interagire? È forse il caso di rispondere all’ostinazione, alle provocazioni con la rigidità, oppure a timidezze e indecisioni con l’iperprotettività? Crediamo di no, proporremmo una sfida senza via d’uscita od offriremmo una nicchia-culla regressiva, anch’essa senza via d’uscita.
Psicologia e scuola: bisogni specifici
Come individuare i bisogni degli specifici allievi, come corrisponderli? Per primo, come già detto, è necessario evitare la simmetria con gli alunni, evitare di proporre il proprio modo di sentire, pensare ed agire come il modello da raggiungere, mantenere la chiarezza dei ruoli, al di fuori di schemi rigidi e tenendo sempre presente la bidirezionalità del rapporto, promuovere la costruzione di norme con processualità. Nel sapere contenere e nel promuovere i piccoli passi con autorevolezza e coerenza, con l’atteggiamento paziente di chi non forza il passo al bambino o al giovane, ma rimane fermo e garantisce disponibilità nella comprensione dei bisogni dell’altro, nell’ “esplorare” la componente affettiva della relazione non concentrandosi solo sull’informazione da trasmettere consiste quell’ empatia che definiamo “attenta”, consapevole.
È questa empatia a permettere di raggiungere la collaborazione nella relazione, che è anche relazione didattica.
Questo poiché quegli specifici alunni sentano di potersi affidare ad un adulto, altro rispetto ai propri genitori, a cui è riconosciuto per ruolo il compito di guida nel percorso scolastico in cui essi svilupperanno le loro stesse capacità di costruire legami, ad incominciare dai compagni e dai docenti, e di apprendimento a partire da una situazione iniziale perfino di svantaggio.
È nostra intenzione sviluppare l’aspetto della relazione, nelle sue millepieghe, nello sviluppo del nostro lavoro, non ci sono ricette precostituite, è solo nella fatica quotidiana del lavoro con gli alunni che si potrà imparare a costruire e cercare di mantenere un rapporto equilibrato nei confronti degli specifici allievi e del gruppo classe. In quest’ottica, il sapere osservare, il considerare anche il come gli alunni presentano le loro richieste, la lettura del comportamento e dei silenzi d’ incertezza, di paura e di ansia, di sfida o di risentimento diventa momento portante della metodologia ed è premessa per cercare di trovare la modalità relazionale a misura degli alunni. La qualità del contesto relazionale che si riuscirà a creare e a mantenere nella classe, definisce non solo quanto quegli alunni specifici potranno imparare, ma la possibilità di una loro evoluzione.
In uno spazio di confronto, più specifico rispetto a questa rubrica, affronteremo la problematica dell’integrazione scolastica degli alunni disabili.
Dr.ssa Carla Ossola