Psicologia del serial killer
Jeffrey Dahmer: un tentativo di interpretazione psicoanalitica di un caso di cronaca
Psicologia del serial killer. Il colloquio con i genitori, gli aspetti perversi nella normalità, nella letteratura, nell’arte, nel cinema e nei pazienti.
Psicologia del serial killer. Il colloquio
Lionel: mio padre svolgeva due attività: era insegnante di matematica al liceo e nel pomeriggio faceva il barbiere. Era molto occupato. Ciò nonostante trovava tempo per me, mi aiutava nei compiti; partecipava alle riunioni dei genitori, giocava a palla con me, mi portava a nuotare, a correre in slitta, al campeggio. Era un buon padre: attento e premuroso. Sapeva, di noi figli, quello che sanno tutti i padri ma non conosceva nulla della mia vita interiore. Quando ero bambino mi sorse una specie di ossessione: avevo una mania per il fuoco; la presenza delle fiamme mi gettava in uno stato quasi ipnotico. Nessuno se ne accorse, fino a quando non rischiai di far bruciare il garage di un vicino di casa. Sono diventato chimico.
Joyce: io invece sento di essere stata trascurata da bambina. Mio padre era una alcolizzato grave e per anni ho dovuto subire il dominio e la violenza imposta da mio padre su di me e su tutta la nostra famiglia.
Lionel : ci siamo sposati il 22 agosto del 1959; io avevo 23 anni, ero ancora studente universitario alla facoltà di chimica.
Joyce: io invece lavoravo come istruttrice dei telescriventisti in una centrale telefonica ma ho dovuto abbandonare il lavoro appena rimasta incinta. Jeffrey è il nostro primogenito. E’ nato a Milwaukee, nel Michigan. Sei anni dopo nacque David ma lui è nato a Doylestown nell’Ohio. Noi ci siamo trasferiti molte volte.
Lionel: si, la prima volta è stato nel febbraio del 1960. Ci siamo trasferiti dai miei a West Allis perché Joyce stava molto male durante la gravidanza.
Joyce: ma quando Jeffrey aveva quattro mesi ci siamo trasferiti di nuovo a Milwaukee: Lionel era stato ammesso a frequentare il corso di master in chimica.
Lionel: e anche perché tu non volevi più vivere con i miei
Joyce: si, e poi tutte le altre volte ci siamo spostati per il tuo lavoro : a settembre del 1962 siamo andati ad Ames nell’Jowa perché aveva avuto un posto di ricercatore all’Università … a ottobre del 1966 nell’Ohio, dove appunto è nato David … e poi nel 1968 … la casa di Bath … me ne innamorai immediatamente!
Lionel: ma ad aprile del 1967 ci siamo dovuti trasferire a Barbeton perché tu non sopportavi più i rumori… te lo ricordi?
Joyce: certo … quando aspettavo Jeffrey avevo un fortissimo senso di nausea … non sopportavo ne’i rumori ne’ gli odori … e poi mi sono cominciati degli spasmi muscolari incontrollabili … a volte mi si paralizzavano pure le gambe e la mandibola… si irrigidiva su un lato … mi si gonfiavano gli occhi e mi usciva la bava dalla bocca
Lionel: il medico che l’aveva in cura non riuscì a trovare alcuna causa organica e suggerì che queste manifestazioni avessero origine psicologica
Joyce: non era vero … altrimenti non mi avrebbe curata con barbiturici e morfina. Dopo la nascita la nausea passò ma non la sofferenza per i rumori e gli odori. Jeffrey è nato il 21 maggio 1960 alle ore 16,34 Pesava tre chili e 100 grammi. Fu sottoposto ad un’ingessatura ad una gamba per correggere una lieve malformazione ortopedica ma, a parte questo, era perfettamente sano. L’ho allattato al seno solo pochi giorni: mi faceva male … avevo paura
Lionel: per bloccare la produzione del latte si fasciò il seno con delle bende e quindi Jeffrey fu allattato artificialmente
Psicologia del serial killer. NOTA
Jeffrey, da adulto, ha affermato molto spesso di non essere capace di affrontare le delusioni. Pur senza voler dare particolare enfasi all’interruzione dell’allattamento (poiché questa è una pratica abbastanza diffusa) va tuttavia ricordato che è ben noto come la privazione improvvisa del rassicurante contatto con il seno materno può, in alcuni bambini, determinare gravi effetti psicologici. (cfr. Bowlby, Spitz ecc.) Inoltre, si può ipotizzare che anche i pochi giorni in cui il bambino fu allattato al seno, le emozioni materne non fossero positive e ci sostengono su questo punto le recenti ricerche sull’instaurarsi del contatto madre bambino in grado di fornire i prodromi della futura fiducia del neonato nei confronti del mondo esterno. Si può quindi ipotizzare, nell’ottica Kleniana, che Jeffrey non ebbe la possibilità di creare al proprio interno una valida rappresentazione del seno “buono”.
Joyce: ma non ci sono stati problemi: dopo solo due settimane ci sorrise per la prima volta, a sei mesi e mezzo si metteva in piedi da solo e a otto e mezzo camminava già gattoni… ha camminato da solo il 25 novembre 1961… ha cominciato a parlare regolarmente a due anni … è stato sempre un bambino sano eccetto che alla fine del 1963… in quel periodo ha sofferto spesso di varie infezioni alla gola e all’orecchio … all’ospedale gli facevano le iniezioni …
Psicologia del serial killer. NOTA
Il fatto che Jeffrey non sia stato un neonato difficile ci può far riflettere. i capricci sono, in un certo senso. una manifestazione di vita, di affermazione di se stessi. lì bambino che non chiede attenzione può avere già, dentro di sé, una morte interiore. Sappiamo bene, infatti, come sia proprio tra i neonati dal carattere apparentemente buono che si rivelino, in seguito, le più gravi forme di autismo. (cfr Bettelheim).
Lionel: il suo sederino era diventato un colabrodo… comincio a ribellarsi violentemente ogni volta che doveva farne una…
Joyce: e poi nel ’64 fu operato…
Lionel: sì … cominciò dicendo che gli faceva molto male all’inguine … ci accorgemmo che gli si era formato un rigonfiamento sullo scroto. Gli fu diagnosticata un’ernia bilaterale dovuta ad un difetto di nascita.. decisero di intervenire chirurgicamente. Quando si risvegliò dall’anestesia chiese se i dottori gli avevano tagliato il pene …. dopo l’operazione divenne più taciturno … da allora non è più stato il bambino allegro di prima.
Psicologia del serial killer. NOTA
E’ possibile, forse, a questo punto, fare un parallelismo tra il caso di Jeffrey e quello di Sergei Pankejev, noto come “l’uomo dei lupi”. Freud, in quel caso clinico, attribuisce la regressione allo stadio anale alla minaccia di evirazione fatta al paziente intorno ai tre anni. Nel nostro caso, Jeffrey alla stessa età, subì l’operazione alla zona genitale che visse certamente come un’evirazione se giunse a dire, parecchi anni dopo, che il dolore era così forte che pensò che gli avessero tagliato i genitali.
Ci si può chiedere se questa operazione non abbia assunto un’importanza determinante, considerato il taglio profondo e l’esplorazione interna che come accade In questi casi determina la sensazione che mani estranee abbiano invaso le parti più Intime. Tutto questo, in una fase che, come noto, è legata al complesso edipico e quindi alla paura di evirazione.
Joyce: fu bravo … la sera mi diceva puoi andare a casa ora, mamma, dormo … in quel periodo io stavo male mi sentivo invasa da un senso di disperazione e di isolamento … durante il nostro soggiorno ad Ames facevo sempre un bruttissimo soglio: sognavo di essere inseguita da un grosso orso nero e risvegliavo terrorizzata.
Psicologia del serial killer. NOTA
Freud include le rappresentazioni oniriche nelle quali si è aggrediti da animali feroci tra i sogni “tipici”, caratteristici delle persone ansiose e starebbero a simboleggiare sia pulsioni cattive sia il padre temuto.
Lionel: Jeffrey invece era felice ad Ames … lui ha sempre amato gli animali, fin da piccolo
Joyce: già a un anno e mezzo aveva un suo pesce rosso ed una piccola tartaruga con la quale era molto gentile
Lionel: una volta raccogliemmo un gufo … veniva quando fischiavamo
Joyce: si, e anche Jiffy, lo scoiattolo, che saliva sul davanzale e non scappava via… e poi aveva Buffy, il gatto
Lionel:quando ci trasferimmo fummo costretti a venderlo perché non potevamo portarlo con noi ma poi ebbe Frisky
Joyce: si, la cagnetta
Lionel: gli piacevano molto gli animali ma aveva difficoltà di rapporti con gli altri bambini.
Psicologia del serial killer. NOTA
Jeffrey viveva in una sorta di alienazione che, come sappiamo, è caratteristica comune dl molti uomini che sono poi divenuti serial killer. Per far parte del mondo, il bambino deve sentire che la sua esistenza è benefica, altrimenti è costretto ad allontanarsene. (la Klein ci spiega bene questo concetto).
Kohut, nell’ambito dello psicologia del Sé, afferma che “se la carenza degli oggettiSé edipici è cronica [perché proveniente] da una grave patologia del Sé [dei genitori], il bambino proverà (…) un’angoscia eccessiva”.
Mitchell distingue una “angoscia edipica primaria e secondaria”: la prima (considerata dall’autore la più importante) nascerebbe in risposta “all’empatia difettosa dei genitori” mentre la seconda (che, sebbene derivata dallo prima spesso si manifesta in modo più vistoso dell’altra) sorgerebbe quando il Sé edipico frammentato, caratterizzato da fantasie e impulsi sessuali e distruttivi, prende il sopravvento dopo la disintegrazione del Sé edipico sano. Infatti, se l’assertività del Sé del bambino nella fase edipica riceverà risposte inadeguate esso “si frantumerà, si indebolirà e perderà armonia”. Per quello che ci interessa, è utile sottolineare che Mitchell specifica che il ritiro affettivo è il modo più comune in cui si esprime la patologia dell’ambiente. Ora, se prendiamo in considerazione i primissimi anni dl vita di Jeffrey, pare evidente che in lui ci sia stato un ritiro affettivo e la difficoltà di rapporti con gli altri bambini ne è un’esplicita dimostrazione.
Joyce: era timido e, per alcuni aspetti era ancora dipendente, all’asilo, per esempio, non riusciva a mettersi e ad allacciarsi gli stivali e siccome la maestra non lo aiutava spesso si metteva a piangere
Lionel: un pomeriggio, tornando a casa, vidi che Jeffrey era sul prato bagnato per l’abbondante pioggia e che dimenava le mani… vidi che era caduto in una specie di buca fangosa dalla quale non riusciva a liberarsi… lo tirai fuori immediatamente ma mi resi conto che era terrorizzato: aveva avuto paura di essere inghiottito…
Joyce: anche quando andò alle elementari … li eravamo a Barteton … ricordo ancora l’espressione di terrore che aveva sul viso la mattina del primo giorno di scuola. Era ammutolito. Quasi pietrificato… io stavo male in quel periodo … ero incinta di David ……. la gravidanza presentò gli stessi sintomi della precedente …
Lionel: sia prima che dopo il parto Joyce visse una forte depressione … era nervosa, irritabile, soffriva di insonnia … fu curata con dosi massicce di Equanil… arrivò a prenderne anche cinque pillole al giorno… Jeffrey era felice di essere in campagna ed era felice della nascita del fratellino però sembrava che niente lo interessasse … e non era solo questo: Jeffrey non entrava in alcuna forma di competizione … quasi avesse paura … ed evitava i giochi che comportavano un contatto fisico. Si, a scuola andava malvolentieri .. . mostrava una gran paura degli altri … una generale mancanza di sicurezza in sé stesso… se ci penso, mi rendo conto che anche la sua postura era diventata più rigida e che quando era in piedi stava molto eretto, come sull’attenti, con le mani tese lungo i lati delle gambe.
Joyce: Forse perché si senti tradito … deluso … ad esempio come accadde per quella storia dei girini che aveva regalato alla maestra e che lei poi regalò a quell’altro bambino …non mi ricordo più come si chiama … Jeffrey li uccise mettendo olio da macchina nel vaso ·. oppure quando fii punito con le palettate suI sedere perché giocavano a stringersi le mani sul collo Jeffrey mi disse che era stato l’altro bambino a chiedergli di farlo
Psicologia del serial killer. NOTA
Una caratteristica tipica della personalità schizoide è la totale incapacità di fidarsi degli altri per paura che questa fiducia venga disprezzata e derisa. La comprensione del concetto di fiducia da parte del bambino si sviluppa lentamente, per tentativi, sin dai primi giorni di vita e gli permette di comprendere qual è il suo posto nel mondo e quali responsabilità ne derivano. Una discesa in uno stato totalmente privo di fiducia, isolato e schizoide, è raro ma è facile seminarlo e il raccolto può essere devastante.
Lionel: A nove anni Jeffrey aveva inventato un gioco che chiamava “il paese dell’infinito”. era il suo gioco prediletto e fu forse l’unico che condivise con un amico. I personaggi erano gli uomini “stecco” e le “spirali”; i primi erano figure filiformi che se si avvicinavano troppo l’una all’altra si distruggevano mentre le spirali rappresentavano dei passaggi in discesa che portavano ad un buco nero.
Psicologia del serial killer. NOTA
Se ci soffermiamo a riflettere su questa rappresentazione, pare che essa porti in sé un certo messaggio: le figure non hanno corpo, non sono complete ma anzi, sembrano essere rappresentate dal loro scheletro: Il gioco suggerisce che il pericolo maggiore fosse rappresentato dall’intimità (la vicinanza) che porterebbe alla distruzione intesa qui in senso di annichilimento totale (buco nero).
Lionel: Joyce stava veramente male in quel periodo …peggiorò e fu portata nel reparto neuropsichiatrico dove rimase per un mese. Jeffrey si isolò ancora di più : aveva sempre saputo che la madre era stata male fin da quando lui era nato ed incolpava se stesso per la malattia. Aveva paura e soffriva ma non lo esprimeva per timore che lei peggiorasse. Passava intere ore nel bosco a tagliare legna. Non riuscivo a farlo uscire dal suo isolamento; tentai di insegnargli a giocare a tennis, lo iscrivemmo agli Scout … niente … ed ogni giorno diventava più taciturno … era molto difficile tirargli fuori qualcosa e quando lo faceva. la sua voce sembrava piatta e monotona. In quel periodo, lo riconosco, è come se Joyce avesse “staccato la spina” anche dopo il suo ritorno a casa, quando Jeffrey tornava da scuola, al pomeriggio, lei era ancora a letto; non si parlavano… nessuno parlava in quel periodo … ognuno di noi stava per conto suo. Ormai stava entrando nella pubertà e capivo che non era come la maggior parte dei ragazzi della sua età: nessuna grande amicizia, nessun amico del cuore; voglio dire, niente emozioni o dimostrazioni forti come accade invece quando si è giovani … quando ebbe quattordici anni cominciò, improvvisamente, ad ingrassare …. Aveva cominciato a bere e noi non ce ne accorgemmo. Cominciò a fare cose strane: in classe a volte belava come una pecora, oppure fingeva di inciampare su qualcosa di invisibile … in altre occasioni simulava un attacco epilettico. o sputava il cibo e fingeva di sentirsi male … anche nei negozi, faceva cose del genere .. fingeva ad esempio di essere ritardato e buttava giù la roba dagli scaffali
Psicologia del serial killer. NOTA
L’acting out a scuola e nei negozi è un tipico comportamento del ragazzo adolescente che cerca di attirare l’attenzione su di sé come in un’ultima, disperata richiesta di aiuto.
Lionel: L’unica materia che lo appassionava era la biologia. Mostrò un paio di volte a suo fratello David come si sezionavano gli animali … lui raccoglieva quelli morti per la strada o nel bosco …li ha portati molte volte a casa aprendoli per vedere come erano fatti … e in classe aiutò un professore a sezionare un porcellino. Io pensavo che questo fosse un segno positivo .. una curiosità che si sarebbe trasformata in desiderio di sapere.
Sappiamo che Jeffrey non ha mai ucciso un animale. Le persone che diventano pluriomicidi sono stati spesso dei bambini sadici e la crudeltà precoce verso gli animali è stata una delle loro caratteristiche più comuni. Jeffrey, ai contrario, non mostrò mai alcuna crudeltà: i suoi esperimenti erano solo sui cadaveri. Il bambino crudele con un animale mette alla prova la sua capacità di infliggere dolore al mondo, quindi si mette in rapporto con l’esterno anche se in un rapporto fatto di torture e violenza. Il sadismo, per quanto brutale, è pur sempre un’espressione di vitalità. Jeffrey, invece, non era interessato ad una creatura viva ma alla dissezione di un cadavere: voleva sapere come funzionava ed è proprio l’ossessione per i meccanismi della vita, piuttosto che per la vita stessa, che è tipico del necrofilo.
Lionel: poi, nel 1977, prima di Natale, Joyce ed io decidemmo di divorziare …andai a vivere in un Motel non molto distante … e in primavera conobbi Shari, la mia seconda moglie. Il divorzio venne dibattuto in tribunale nel luglio del 1978 e, sebbene la casa fosse stata assegnata a Joyce, ella partì con David il giorno stesso per andare a trovare i suoi.
Psicologia del serial killer. NOTA
Il giorno successivo alla sentenza Jeffrey commise il suo primo omicidio: Steven, un autostoppista diciannovenne. Questo gesto, con cui inizia la storia di qualcos’altro, segna in qualche modo la linea di confine tra il Jeffrey diciottenne timido, introverso, solitario, asociale e il Jeffrey necrofilo che ha ucciso diciassette persone al solo scopo di appagare la propria pulsione sessuale suscitata dalla vicinanza di un cadavere.
Psicologia del serial killer. Considerazioni psicoanalitiche
La differenza sostanziale tra perversione e nevrosi e perversione e psicosi è data dalla diversa relazione oggettuale intendendo per oggetto sia quello esterno (nonSé) sia quello interno sia, infine, il corpo in quanto oggetto.
La relazione oggettuale è raggiunta nelle nevrosi ed il conflitto è infatti tra oggetto interno ed oggetto esterno; quest’ultimo è invece negato nelle psicosi dove predominano l’onnipotenza e i bisogni istintuali; nelle perversioni, infine, l’oggetto è come in uno spazio intermedio tra la realtà esterna e la realtà psichica profonda: è accettato come separato ma vissuto come creazione soggettiva e nel suo duplice aspetto ha, da un lato, la necessità di esistere in quanto oggetto esterno e, dall’altra, quella di rispondere alle esigenze narcisistiche soggettive.
Psicologia del serial killer. Il corpo dell’altro
Nel caso in esame sembra di ritrovare questa modalità; il corpo dell’altro esiste nella realtà: Jeffrey gira per i bar alla ricerca di giovani che lo attraggano ma quello stesso corpo ha bisogno di essere “ricreato” in una situazione di totale abbandono che è l’unica che gli consente di stabilire una relazione con esso.
Masud Khan che individua nei pervertiti una particolare tecnica “dell’intimità”, tesa a creare una situazione fittizia per ottenere la seduzione e la cooperazione volontaria dell’oggetto esterno scrive:
“La capacità di creare l’atmosfera emotiva che sollecita la volontaria partecipazione di un’altra persona è uno dei pochi talenti reali dei pervertiti. Si offre una situazione fittizia in cui due individui temporaneamente rinunciano alle loro identità e tentano di creare un intimità corporea, finalizzata al massimo grado all’orgasmo. C’è però sempre una condizione. Il pervertito, proprio lui, non riesce ad arrendersi interamente all’esperienza, il suo Io mantiene un controllo, scisso, dissociato e manipolativo, della situazione. Ciò costituisce il suo successo e insieme il fallimento della situazione intima. Fallimento che alimenta la coazione a ripetere senza fine il processo. Il massimo avvicinamento all’esperienza dell’abbandono, il pervertito lo ottiene attraverso l’identificazione visiva, tattile e sensoriale con l’altro oggetto che vive nell’intimità questo abbandono”.
Psicologia del serial killer. Pervertito come uomo mancato
Il pervertito, quindi, non vive in realtà l’esperienza, non ottiene il soddisfacimento pulsionale a causa delle angosce interne di abbandono e non entra in relazione con l’oggetto; ogni avventura costituisce un fallimento poiché egli raggiunge solo uno sfogo piacevole e una intensificazione dell’interesse narcisistico dell’Io. Nella sua soggettività il pervertito è un uomo mancato.
Jeffrey pare rispondere in pieno a questa descrizione: l’abbandono a cui costringe i suoi partner ci dimostra il suo bisogno dì identificazione mentre la continua ricerca di nuovi rapporti starebbe ad indicare proprio il fallimento di una intimità profondamente desiderata ma mai raggiunta.
Psicologia del serial killer. La duplice angoscia del pervertito
Masud Khan ipotizza anche che l’angoscia del pervertito sia duplice e comprenda sia il “terrore dell’annientamento” sia il “terrore della disillusione catastrofica”. L’autore chiarisce che una tecnica usata dal pervertito contro la disillusione è di avere una intensa esperienza erotica che equivale al mettersi in relazione con l’oggetto cosicché nella realtà interna del pervertito e negli eventi sessuali messi in atto, l’intensità sostituisce i sentimenti e gli affetti. Questo stato di eccitamento ha una precisa qualità maniacale perché per mezzo di essa il pervertito riesce a fuggire dal suo spazio interno e a cercare un’area esterna di esperienza dove, strumentalizzando un’altra persona, tale eccitamento può essere trattato e tradotto in un’esperienza reale. Si può quindi ipotizzare che l’angoscia abbia subito in Jeffrey una escalation, se si tiene conto del tempo intercorso tra gli omicidi negli ultimi periodi. Se ci soffermiamo, infatti, all’anno 1991, le date parlano da sole: 17 febbraio, 7 aprile, 24 e 27 maggio, 30 giugno, 8,15 e 19 luglio.
Psicologia del serial killer. Parte 3
Psicologia del serial killer. Aspetti perversi nella normalità
Uno dei problemi più importanti della psicologia rimane sempre quello di che cosa possa considerarsi “normale” e che cosa “anormale”. Non v’è dubbio infatti che esiste una vasta zona comportamentale nella quale è difficile definire i fatti in termini assoluti se lo si fa senza idee preconcette.
In un suo articolo, Emilio Servadio afferma infatti che:
il comportamento sessuale normale “è per larga parte una determinazione soggettiva e consiste di attività sessuali che sono accettabili a entrambi i partner e che producono soddisfazione e piacere, senza danno ad alcuno dei due”.
Psicologia del serial killer. Nella letteratura
“L’isola del dottor Moreau” come ce la descrive Wells, è un luogo caratterizzato da un odore sgradevole ed il protagonista è considerato “un esperto vivisezionatore”. Tuttavia, la Chasseguet fa notare che in Moreau l’eccitamento sessuale pare essere correlato all’oltraggiosità alimentata solo dalla pulsione di impossessamento che non è stata ancora posta al servizio della pulsione sessuale. Se cosi fosse, infatti, la pulsione di impossessamento, secondo quanto afferma Freud nei Tre saggi, si sarebbe trasformata in sadismo e di questo, in un certo senso, non c’è traccia nel protagonista.
Ho pensato a quest’opera, in particolare, perché mi pare che il caso di Jeffrey presenti caratteristiche analoghe. Infatti, se è vero, da una parte, che Jeffrey ha avuto con le sue vittime rapporti sessuali, è anche vero che il suo desiderio era di possederle inermi ed è per questo che molte di loro furono drogate Inoltre, per quello che è dato di capire, l’obiettivo sessuale di Jeffrey era soprattutto quello di guardarle e di toccarle. Era la loro immobilità a far godere Jeffrey che, peraltro, si è sempre masturbato, ed è in questo che si ravviserebbe la pulsione di impossessamento, più che quella sessuale. Se Jeffrey ha fatto in qualche modo del male alle sue vittime è stato solo perché non fuggissero da lui e non per sadismo.
Tuttavia, anche se solo con un breve accenno, va notato che neppure le favole sono prive di rappresentazioni necrofage. Basta ricordare infatti il personaggio di Barbablù di Charles Perrault (ispiratosi al processo svoltosi nel 1440 a Nantes contro il conte Gilles de Rais), o la Strega Marzapane che chiude Hansel e Gretel allo scopo di farli ingrassare per poi divorarli.
Psicologia del serial killer. Nell’arte
Dal ‘400 il cadavere entra negli studi degli artisti. Lucas Cranach il Vecchio, si servì infatti dei cadaveri per rappresentare “Giuditta” e “Il banchetto di Erode”; Rembrandt si esercitò nei macelli e dello stesso Leonardo da Vinci si dice che usasse cadaveri che poi sezionava per scoprirne i segreti.
Hans Bellmer, pittore e incisore polacco, entrò in contatto negli anni ’30 a Parigi con il gruppo dei surrealisti e, sotto la loro influenza, creò le “bambole”. Quella del 1933 fu descritta come “disarticolata, posta in un vano della porta, le membra come sparpagliate su un letto . E lo stesso Bellmer, nell’esprimere ciò che lo spinge a creare tali immagini, scrive : “… e finalmente evitare di frenarsi davanti al meccanismo interno, ma spogliare e mettere allo scoperto i pensieri segreti della bambina, e rendere visibile, preferibilmente attraverso l’ombelico, il punto più profondo di questi pensieri: un panorama che si apre nelle profondità della pancia…”.
E più tardi, nel 1975, scrive una frase divenuta famosa:
“Il corpo può essere paragonato ad una frase che ci invita a disarticolarla nei suoi elementi di base per ricombinarla poi in una serie di anagrammi senza fine”.
E in queste affermazioni non sono forse espressi gli stessi pensieri e lo stesso, identico desiderio che ha spinto Jeffrey Dahmer a sezionare gli uomini da lui incontrati? A me pare proprio di si. La differenza è che mentre Jeffrey ha attuato le sue fantasie perverse, Bellmer è riuscito a sublimarle e a rappresentarle nell’arte.
Psicologia del serial killer. Nel cinema
Anche il cinema ha in molte occasioni affrontato il problema di queste perversioni.
In un film di Roger Watkin della fine degli anni ’70, ad esempio, intitolato “Last house on dead end street” assistiamo a sezionamenti e crudeltà di ogni genere dovendo prendere atto, alla fine del film, che ciò a cui abbiamo assistito è una storia vera.
In “Nekromantic”, della fine degli anni ’80, assistiamo ad orge, smembramenti di cadaveri e atti di necrofilia.
In Italia, Joe d’Amato (pseudonimo di Aristide Massaccesi) ha portato sullo schermo in “Buio omega” una storia di necrofilia e in “Anthropophagus” una di cannibalismo trattata anche da Ruggiero Deodato in “Cannibal holocaust”.
Tra i più recenti, basta ricordare “L’insaziabile” e l’indimenticabile Dottor Lecter de “Il silenzio degli innocenti”,
Psicologia del serial killer. Il carattere necrofilo nei nostri pazienti
Fromm evidenzia uno specifico carattere necrofilo che definisce “forma maligna del carattere anale” e suggerisce uno sviluppo di tale carattere lungo la linea:
carattere anale normale carattere sadico carattere necrofilo ed afferma che il desiderio di smembramento è peculiare di questo carattere.
Nei casi di Freud, per quanto riguarda questo tipo di perversioni, significativi sono ad esempio i sogno di Ernst Panzer, protagonista del caso clinico dell’uomo dei topi. Tuttavia, se da un punto di vista clinico, i sogni sono l’espressione più esplicita dei desideri necrofili visto che in essi appaiono spesso pezzi di corpo che galleggiano, talvolta nel sangue o anche nell’acqua, misti a feci essi non sono la sola espressione.
Infatti, pur senza giungere ad aspetti tanto estremi come nel caso di Dahmer e quindi a tutti quegli episodi di cronaca nei quali la vittima è smembrata, tale desiderio è spesso osservabile in piccoli gesti ripetitivi come spezzare piccole cose come fiori, stecchini a tavola, pezzetti di carta che soddisfano in modo innocuo proprio un desiderio di smembramento.
E’ solo di qualche mese fa la notizia di un ulteriore “colpo” in un museo romano, di un quarantenne, già noto per atti del genere, che ha sfregiato una statua: tale gesto è anch’esso espressione di un carattere necrofilo. Al di là di quelli che potremmo definire “agiti”, comunque, altri aspetti evidenziano nei nostri pazienti un tale carattere: una conversazione priva di vita, un viso quasi totalmente inespressivo, un riferimento costante alla distruzione e/o alle feci, uno spiccato interesse per le disgrazie, le morti, le malattie nonché una predilezione per il colore nero.
Da un punto di vista diagnostico, utile si è rivelato l’utilizzo dei test proiettivi e, in particolare, del Rorschach
: so che Michael Maccoby, in particolare, l’ha usato proprio per formulare la diagnosi di necrofilia ma, purtroppo, non essendo stata in grado di reperire i suoi risultati, non posso essere più esaurienti al riguardo.
Psicologia del serial killer. Conclusioni
E’ Freud stesso a dire che l’educazione opera rimozioni energiche delle pulsioni producendo forze psichiche come il pudore, il disgusto, la morale che vegliano su queste rimozioni. E sono soprattutto gli impulsi coprofili dell’infanzia che vengono colpiti più a fondo dalla rimozione.
Nonostante le pulsioni coprofile siano incompatibili con la nostra civiltà, i processi fondamentali che danno luogo all’eccitamento sono sempre gli stessi .. e la posizione dei genitali tra urina e feci rimane il fattore determinante. La ricerca etnologica mostra come in diversi popoli sia incompleta la rimozione delle tendenze coprofile e come queste trovino espressione nella magia, nel culto e nella medicina.
“Esistono persone che si attengono al genitale, ma non per le sue funzioni sessuali, bensì per altre funzioni a cui esso prende parte per ragioni anatomiche e per motivi di vicinanza. Riscontriamo in costoro come le funzioni escrementizie, che nell’educazione del bambino sono state spinte da parte come sconvenienti, rimangono in grado di attirare su di sé il pieno interesse sessuale”.
Osserviamo i pazienti uomini: chi, prima di sdraiarsi sul lettino di analisi, si sistema i pantaloni, può poi rivelarsi come Freud stesso ci suggerisce nei ‘Nuovi consigli sulla tecnica” un “raffinato coprofilo”; ma porgiamo attenzione anche al linguaggio: “Lo/la mangerei”, “E’ dolce” e frasi analoghe, mostrano anch’esse l’obiettivo erotico dell’organizzazione orale.
Infine, va rammentato quanto sia comune, nei rapporti sessuali, il piacere di baciare e/o essere baciati nella zona anale. Non è forse questo, un sintomo di coprofilia ricondotta a manifestazioni socialmente più accettabili? L’esperienza quotidiana ha dimostrato che la maggior parte delle perversioni manca di rado nella vita degli individui sani perché viene accolta accanto alla meta sessuale normale.
Per concludere, potremmo quindi dire che quelle che Masters definisce “le esigenze turbolente, oscure ed inspiegabili della Natura primitiva” sono illusoriamente domate dalla civiltà che le nega poiché non si riesce mai a sopirle del tutto.
Psicologia del serial killer. Bibliografia
- Aa.Vv., (1962), Nuovo dizionario di sessuologia, Longanesi, Milano, 1969
- Aa.Vv., Il colloquio come strumento psicologico, Giunti, Firenze, 1995
- Abraham K., in “Opere”, Boringhieri, Torino, 1975:
- Tentativo di una storia evolutiva della libido … (1924), voi. I. – Inizi e sviluppo dell’amore oggettuale (1923), vol. I.
- Andreoli V., Voglia di ammazzare, analisi di un desiderio, 1996, R.C.S., Milano, 1996
- Chasseguet -Smirgel, (1985),Creatività e perversione, Cortina, Milano, 1999
- Dahmer L., (1994), Mio figlio l’assassino, Sperling, Milano, 1994
- Freud S., in “Opere”, Boringhieri, Torino, 1970: Introduzione dei sogni, (1899), vol. III
- Tre saggi sulla teoria sessuale, (1905), vol. IV
- Le mie opinioni sul ruolo dell’etiologia delle nevrosi (1906), vol. V
- Teorie sessuali dei bambini (1908), vol. V
- Caso clinico dell’uomo dei topi (1909), vol. VI
- Cinque conferenze sulla psicoanalisi (Quarta conferenza), (1909), vol. VI
- Contributi alla psicologia della vita amorosa (Secondo contributo), (1912), vol. VI
- Totem e Tabù, (1913), vol. VII
- Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi, (1913), vol. VII
- Storia di una nevrosi infantile: caso clinico dell’uomo dei lupi, (1914), vol. VII
- Metapsicologia: Pulsioni e loro destini; Lutto e melanconia, (1915) ,vol. VIII
- Introduzione alla psicoanalisi, Lezione 20, (1915), vol. VIII
- Psicologia delle masse ed analisi dell’ Io (1921), vol. IX
- L’ lo e l’ Es, (1922), vol. IX
- L’avvenire di un’illusione, (1927), vol. X
- L’uomo Mosè … Terzo saggio (1938), vol. Xl
- In “Epistolari”, Boringhieri, Torino, 1990
- Lettere a WiIhelm Fliess (1887-1904)
- Fromm E., (1973), Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano,1995
- Galimberti U., Dizionario di psicologia, UTET, 1992
- Gay P., Freud, una vita peri nostri tempi, Bompiani, 1997
- Krafft – Ebing R., (1952), Psychopathia sexualis, Manfredi, Milano, 1957
- Klein M., in Scritti 1921 – 1958, Boringhieri, Torino, 1978
- Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi (1935)
- Kohuth H., La cura psicoanalitica (1984), Boringhieri, Torino, 1992
- Jervis G., Manuale critico di psichiatria, (1975), Feltrinelli, Milano, 1997
- Master B., (1993), Jeffrey Dahmer, AGS, Roma, (1993)
- Masud K., (1979), Le figure della perversione, Boringhieri, Torino, 1993
- Mitchell S.A.,(1988), Gli orientamenti relazionali in psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1993
- Ponti G. Fornari U., (1995), Il fascino del male, Cortina, Milano, 1999
- Winnicott D.W., in “Dalla pediatria alla psicoanalisi”, Martinelli, Firenze, 1995 Gli oggetti transizionali e fenomeni transizionali, (1951)
L’autrice di questo articolo “Psicologia del serial killer” è Maria Pichi