Mobbing: violenze e molestie morali nel contesto lavorativo
Aprite il vostro giornale in qualunque momento della settimana e vi troverete una notizia giunta da qualche parte, su un essere umano imprigionato, torturato o messo a morte perché le sue opinioni o la sua religione non vengono accettate …
Mobbing. Le origini
Erano più o meno queste le parole di apertura di un appello comparso sull’Observer del 28 maggio 1961. Chi scriveva era Peter Benenson, un avvocato inglese che stava dedicando ogni energia per fondare una organizzazione umanitaria da quando aveva letto la notizia che in Portogallo, nel 1960, due persone erano state arrestate soltanto per aver brindato alla libertà.
In questi giorni corre il quarantesimo anno dalla nascita di Amnesty International, e fa veramente bene al cuore ricordare l’avvenimento. Esprimendo anche molta gratitudine a tutti coloro che continuano ad impegnarsi nel progetto, perché sappiamo quanto è stato fatto e quanto è costato, in termini di coraggio e abnegazione, il lavoro paziente di tanti uomini e donne che si sono battuti e si battono per il rispetto della dignità e dei diritti umani violati.
La storia racconta che quella idea, nata sul metrò di Londra leggendo la notizia riguardante i due arrestati portoghesi, fu “tradotta” su un tovagliolino di carta al tavolo di un bar lussemburghese, in un progetto che gli amici Peter Benenson ed Eric Baker fissarono in tre punti: scarcerazione di ogni essere umano arrestato per le sue opinioni, abolizione della tortura, cancellazione della pena di morte. Per riuscirci i due intendevano utilizzare solo il mezzo della parola. La parola per informare e quella per denunciare la condizione dei cosiddetti “prigionieri di opinione”.
E’ quanto si continua a fare ancora oggi.
Parlare agli altri, non per imporre l’idea che la violenza è sbagliata, ma per coinvolgere un numero sempre crescente di persone e aiutarle a comprendere che da quando la Dichiarazione dei diritti dell’uomo fu approvata dalle Nazioni Unite, il mondo ha assistito a un aumento della brutalità, della violenza, del terrorismo e della torura.
Questa affermazione, che gli Accademici del Nobel hanno scritto per motivare il premio per la pace assegnato ad Amnesty nel 1977, desta molta impressione alla luce delle esperienze che ciascuno di noi puo fare quotidianamente.
Mobbing. Il contesto lavorativo
A volte siamo convinti che ormai il male stia dilagando, soprattutto quando i nostri sentimenti rimangono sconvolti dalle notizie che ci giungono. Altre volte, quelle in cui prevale la ragione, siamo comunque costretti ad ammettere che gli atti di violenza stanno aumentando. Forse perché siamo più desti e vigilanti, abbiamo maggiori capacità per rilevare – e qualche volta per denunciare – gli aspetti più proteiformi dei soprusi, anche quelle violenze fredde o subdole che spesso si camuffano in altri comportamenti che a volte ingannano il nostro sguardo.
E’ il caso ad esempio delle violenze e delle molestie morali nei luoghi di lavoro.
Spesso si parla di “mobbing” usando un anglicismo che indirettamente contribuisce a nascondere la realtà dietro una parola che, ormai sulla bocca di tutti, sta diventando banale. Allora è meglio ragionare sulla mancanza di rispetto per la dignità o dei soprusi nei confronti dell’integrità umana e professionale delle persone. Perché è forte lo star male che esse generano, nelle persone che le subiscono e nel loro ambito familiare.
Diciamo pane al pane, non tanto per inneggiare alla ricerca dei colpevoli o dei capri espiatori ma per avviare una riflessione consapevole e responsabile nei confronti di fenomeni che direttamente influiscono sulla vita (e la resa) dell’azienda e indirettamente incidono sul complesso della vita sociale.
Facciamocene carico, innanzitutto per evidenziare i limiti intrinseci nella gestione di questi casi, accogliendo e riconoscendo la legittima sofferenza di tutti coloro che ne vengono coinvolti e mettendo in atto efficienti strumenti di intervento. Passando quindi ad evidenziare quali sono le condizioni che rendono possibili i comportamenti aggressivi e oppressivi che vengono agiti all’interno del mondo del lavoro. Sottolineando quali sono i contesti economici, politici, ideologici, culturali, che li incoraggiano, quali sono le evoluzioni contemporanee che sembrano imporre questi comportamenti agli occhi di certuni.
Per questo abbiamo bisogno dell’aiuto dei lettori, ai quali rivolgiamo l’invito a condividere la nostra riflessione inviando brani delle loro esperienze personali oppure informazioni e suggerimenti. Nel caso le persone lo richiedano, possiamo garantire la riservatezza assoluta sul loro conto.
Vogliamo avviare un confronto perché insieme possiamo apprendere dalle esperienze di disagio e sofferenza il valore della solidarietà e scoprire “mondi possibili” di benessere e crescita comune. Innanzitutto per uno sviluppo più umano della società e poi per la crescita e la salute delle persone e delle aziende.
Dr. Vittorio Tripeni – Psicologo Psicoterapeuta