Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica
Jeffrey Dahmer: interpretazione psicoanalitica di un serial killer.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Certe perversioni dal punto di vista del contenuto si allontanano talmente dalla normalità che non possiamo fare a meno di dichiararle “morbose” in special modo quelle nelle quali la pulsione sessuale giunge nel superare le resistenze ad atti stupefacenti.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Introduzione
Freud sostiene che “Proprio nel campo della vita sessuale si incontrano difficoltà se si vuole tracciare un confine netto fra la mera variazione all’interno dell’ambito fisiologico e i sintomi patologici”. Tuttavia “certe perversioni dal punto di vista del contenuto si allontanano talmente dalla normalità che non possiamo fare a meno di dichiararle <morbose> in special modo quelle nelle quali la pulsione sessuale giunge nel superare le resistenze (pudore, disgusto, orrore, sofferenza) ad atti stupefacenti (coprofilia, necrofilia)”.
Sembra quindi possibile dedurre, dalle parole di Freud, che le sole vere perversioni siano queste e ciò farebbe supporre che, proprio perché estreme, esse siano quantomeno rare. Al contrario, anche queste vivono sempre presenti, anche se in parte mascherate, in ognuno di noi. Questa affermazione tende, non lo nascondo, ad essere provocatoria ma ciò non toglie che tenterò di dimostrare che istinti necrofili, coprofili e cannibalici sono parte integrante della psiche umana.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Necrofilia e necrofagia nella storia
Il mito, come sappiamo, è la rappresentazione di qualcosa che appartiene all’umanità intera e la necrofagia è scritta nel mito: Zeus, figlio di Crono e di Rea, sarebbe stato divorato come i fratelli se la madre non lo avesse nascosto sul monte Ida ma se il mito ci pare troppo lontano, basta cercare in epoche ben più recenti per ritrovare decine di casi descritti e documentati anche in anni recentissimi.
Negli anni venti, Karl Denice, “il cannibale della Slesia” massacrò e divorò almeno 31 persone. In Germania, negli anni trenta, Peter Kuerten, il famoso “vampiro di Dusseldorf’, assassinò nove bambine delle quali bevve il sangue. In Russia, tra il 1978 e il 1990, Andrei Romanovich Chikatilo, soprannominato “il mostro di Rostov” violentò, uccise e in parte mangiò, 21 bambini, 14 bambine e 18 giovani donne. A Milwaukee, alla fine degli anni ottanta, Jeffrey Dahmer – il protagonista del caso preso in esame – si cibò di almeno tre delle sue 17 vittime.
Nel 1995 i due fratelli Novinov, Anatolij di 23 anni e Andrij di 18, furono condannati per aver ucciso e poi mangiato un vagabondo. “Non tutto” – dichiararono al processo – “soltanto le parti più gustose”.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Il caso di Jeffrey Lionel Dahmer
Jeffrey Lionel Dahmer ha ucciso 17 persone e gli ultimi quindici omicidi furono perpetrati tra il 17 gennaio 1988 e il 19 luglio del 1991. Tuttavia, se egli si fosse limitato all’omicidio, non sarebbe soggetto adatto a questo lavoro. E’ quindi necessario riportare una breve descrizione dell’appartamento 213 dove Jeffrey viveva e di cosa fu trovato nel corso della perquisizione effettuata la notte del 22 luglio 1991 così come riportato dal biografo Brian Master.
Nel frigo era conservata una testa mozzata; nel freezer due cuori e un muscolo; in un congelatore tre teste e un torso in un sacco di plastica; in una pentola due mani e dei genitali; in un armadio del corridoio due teschi completamente sbiancati; in un mobiletto della stanza da letto, nella parte superiore, altri due teschi sbiancati e dipinti di verde a macchie nere e nella parte inferiore uno scheletro completo; in una scatola, altri due teschi e infine, in un barile da 250 litri, tre torsi in vari stati di dissezione e decomposizione.
Sembrerebbe abbastanza, ma c’è di più: in realtà, Jeffrey si faceva la doccia con due cadaveri nella vasca; mangiò un bicipite, dopo averlo frullato, fritto in padella e cosparso di salsa e giaceva per ore con i cadaveri abbracciandoli ed avendo con loro rapporti sessuali.
Per tutto questo, ritengo che la storia di Jeffrey Dahmer sia rappresentativa di un caso di necrofilia e necrofagia.
Le notizie riportate su questo caso, sono ricavate dalla storia scritta da Lionel Dahmer, padre di Jeffrey, dal diario tenuto da sua madre per quanto attiene allo sviluppo del paziente nonché sugli atti del processo – elaborati dal già citato Brian Master, uno dei più noti biografi inglesi – svoltosi nel 1992 a Milwaukee. Il processo si concluse con una prima sentenza di condanna a morte in quanto l’imputato non fu ritenuto infermo di mente. Jeffrey Dahmer non subì, però, la pena capitale: fu, infatti, ucciso in prigione da un altro detenuto di cui non si scoprì l’identità.
Allo scopo di rendere dare il più possibile a questo lavoro un’impronta clinica, ho ritenuto di utilizzare il materiale a disposizione, presentandolo sotto la forma di un colloquio che avrebbe potuto ipoteticamente svolgersi tra me ed i genitori di Jeffrey sebbene, dopo la sentenza di divorzio nel 1978, Joyce abbia visto suo figlio solo nel Natale del 1983 e poi nel 1991, dopo il suo arresto.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Parte 1
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. L’ottica psicoanalitica
Le perversioni possono essere definite come comportamenti psicosessuali che si esprimono in forme atipiche rispetto alla norma.
L’estensione di questo concetto è dunque strettamente dipendente dal tipo di norma che si assume come criterio di riferimento. S. Freud, che assume come criterio di riferimento il completo sviluppo della libido che, dopo aver percorso la fase orale, anale e fallica, si esprime in quella genitale come relazione eterosessule, definisce perversa ogni condotta che si discosta dalla norma o in ordine all’oggetto sessuale come nel caso dell’omosessualità, della pedofilia, della zooerastia, o in ordine alla zona corporea quando il piacere sessuale è raggiunto con parti del corpo di per sé non deputate all’esercizio della sessualità, o in ordine alla meta sessuale che può essere raggiunta solo in presenza di condizioni di per sé estrinseche come nel caso del feticismo, del travestitismo, della scopofilia, dell’esibizionismo, del sadomasochismo e simili.
Da questo repertorio risulta che Freud limita il concetto di perversione alla sfera sessuale ma solo perché ritiene che le loro deviazioni, come nel caso dei disturbi dell’alimentazione, dipendano dalle ripercussioni della sessualità sulle funzioni nutritive.
Assunta come norma l’organizzazione genitale, tutte le forme di regressione o di fissazione a stadi precedenti, in cui la sessualità si esprime attraverso pulsioni parziali strettamente legate alle diverse zone erogene, sono considerate perverse.
Naturalmente, se si considera la sessualità originariamente “perversa” in quanto non si stacca mai completamente dalla sua origine, quando il piacere non era cercato in un’attività specifica, ma annesso ad attività dipendenti da altre funzioni come l’alimentazione, la defecazione, ecc., allora è perversa ogni attività sessuale che non si sia definitivamente staccata dalla polimorfia che caratterizza la sessualità infantile.
Freud definisce la perversione come il negativo della nevrosi nel duplice senso che il perverso mette in atto impulsi che il nevrotico rimuove e che di fronte all’angoscia il perverso si difende regredendo a forme di sessualità infantile, mentre il nevrotico adotta altre forme di difesa successive o sostitutive della regressione.
Al tempo stesso, è possibile leggere la sintomatologia nevrotica come un’espressione mascherata delle stesse tendenze espresse in modo manifesto nelle perversioni.
La natura essenzialmente tecnica assunta da Freud sottrae la condotta perversa alla sfera del giudizio morale per legarla ad un arresto o a una regressione della libido:
“L’organizzazione sessuale costituzionale del bambino […] merita di essere definita <perversa polimorfa>, e da questa disposizione, attraverso la rimozione di determinate componenti, deriva il cosiddetto comportamento normale della funzione sessuale [..]La normalità risulta dalla rimozione di certe pulsioni parziali e di componenti della disposizione naturale infantile [..] sotto il primato della zona genitale in servizio della funzione riproduttiva; le perversioni corrispondono a disturbi in questo processo di unificazione provocati dal prepotente e coattivo sviluppo di alcune pulsioni parziali; e la nevrosi si riferisce a una troppo estesa rimozione delle tendenze”.
Il concetto di perversione, tuttavia, si allarga se si assume come norma l’ordinamento sociale dominante i cui valori sono interiorizzati dall’individuo attraverso il processo educativo. In questo caso, ogni incapacità a contenere i propri impulsi meno socializzati è fonte di condotte definite perverse. Giovanni Jervis, ad esempio, ritiene che esistono aspetti reali di perversione soltanto quando il soggetto ha, da sempre, difficoltà a trattenersi dal soddisfare i propri impulsi; costanti difficoltà a valutare la discrepanza dei propri atti rispetto alle norme dominanti e, insieme, ha difficoltà a valutare le conseguenze di questi atti; quando, di fatto, procura con questi atti imprevisti seri danni (anche psicologici) a se stesso e/o significative sofferenze ad altre persone: quando è di intelligenza normale, e non presenta chiari disturbi nevrotici, né reali disturbi psicotici ed infine quando tende a reiterare stabilmente forme di comportamento disapprovate dalla moralità dominante.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Problemi di classificazione
Nel campo della psicopatologia sessuale e comportamentale, preferiamo suddividere in due soli grandi gruppi quelle che un tempo erano chiamate “perversioni” ma che oggi si preferisce denominare deviazioni sessuali a seconda che riguardino la funzione (come nel caso della scopofilia, dell’esibizionismo, del sadismo o del masochismo), oppure l’oggetto (omosessualità, pedofilia, zoofilia, feticismo, necrofilia).
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Coprofilia e coprofagia: gli escrementi
La coprofilia è un particolare interesse per gli escrementi che diventano oggetto di piacere e, in alcuni casi, di eccitazione sessuale che induce ad amare o anche mangiare le materie fecali o bere l’urina. Essa è stata notata nello scimpanzé ed equivale in questo caso all’onanismo. KrafftEbring l’ha classificata nel masochismo.
La coprofagia è l’ingestione di feci che si può osservare nei bambini ritardati e psicotici, oppure in alcuni pazienti schizofrenici come manifestazione di una grave regressione. Si riscontra molto raramente nei bambini normali come espressione di picacismo, ossia della tendenza ad ingerire generi non commestibili.
Secondo S. Freud le tendenze coprofile sono del tutto normali nel bambino che, soprattutto durante la fase anale non prova nessun disgusto per gli escrementi, ma ne è addirittura orgoglioso e li utilizza come mezzo di autoaffermazione nei confronti degli adulti. Con l’educazione le pulsioni coprofile sono gradualmente rimosse e l’interesse che inizialmente era rivolto alle feci è spostato su altri oggetti che le simbolizzano, fra cui, in primo luogo, il denaro. Freud sostiene che “nel bambino l’interesse per gli escrementi non è separato dagli interessi sessuali; la scissione fra i due interessi compare solo più tardi, e resta comunque incompleta [..] una parte delle tendenze coprofile si mostra attiva anche in seguito, e si esprime nelle nevrosi, nelle perversioni, nei vizi e nelle abitudini degli adulti”.
La psicoanalisi sottolinea anche l’importanza del piacere di odorare coprofilo andato perduto a causa della rimozione. In due lettere di Freud indirizzate a Fliess leggiamo, infatti, che
“Le perversioni …hanno un carattere animale e… devono essere spiegate… dall’effetto di sensazioni erogene che in seguito perdono la loro forza“.
Freud ricorda anche che il senso più sviluppato negli animali è l’odorato e quindi anche negli uomini l’urina, le feci, tutta la superficie del corpo ed anche il sangue hanno un effetto sessuale eccitante (11 gennaio 1897)… perché “adottata l’andatura eretta il naso si è sollevato da terra e con ciò una quantità di sensazioni interessanti, legate alla terra, sono divenute repellenti”. Negli animali l’ano e la boccafauci mantengono il loro potere eccitante: “quando ciò avviene nell’uomo ne risulta la perversione”. (14 novembre 1897).
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Necrofilia e necrofagia: il cadavere
Come detto in premessa, anche Freud suddivide le perversioni a seconda che sia mutato l’oggetto o la meta; è nella prima categoria che egli include la necrofilia per la quale “gli individui che pur pretendendo l’intero oggetto avanzano su di esso richieste ben determinate, strane o mostruose, persino quella che debba essere un cadavere indifeso, e che tale rendono con criminale violenza per poterne godere”.
Il termine necrofilia fu coniato dal belga Guislain verso la metà del diciannovesimo secolo per definire una categoria di “alienati distruttivi” e che in seguito fu applicata a ogni ” tendenza manifesta a compiere atti sessuali con un cadavere” (Epaulard).
Galimberti definisce la necrofilia come un investimento erotico di scene macabre che approda a rituali con significati funerei ricercati. contemplati e talvolta eseguiti. fino a giungere. in casi più rari, a rapporti sessuali con cadaveri.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Necrofilia
Per E. Fromm la necrofilia va letta come la forma più radicale dell’aggressività umana che si oppone alla biofilia o amore per la vita. Associata a pulsioni sadiche, la necrofilia non è esente da un tratto feticistico nell’accezione del feticismo del cadavere. Rientrano in questo quadro la necrofagia che induce a cibarsi dei cadaveri e il necrosadismo che sembra più prossimo alla necrofilia che al sadismo dato che la vittima, per ragioni evidenti non prova dolore, e consiste nella mutilazione e scempio di cadaveri, con i quali si sono generalmente avuti in precedenza rapporti sessuali. A volte il necrosadismo sostituisce interamente l’amplesso; altre volte, invece, come nel caso di Jack lo Squartatore, il necrosadismo si manifesta come fase conclusiva dell’assassinio sadico.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Necrofilia
Il termine necrofagia (o cannibalismo) si riferisce invece alla pratica reale o rituale di mangiare la carne dei propri simili; nel mondo animale è noto nella mantide religiosa e in alcune specie di ragni.
Il termine cannibalico, in particolare, è stato adottato dalla psicoanalisi in riferimento alla fase orale dello sviluppo libidico, e più specificamente alla componente sadica presente in tale fase dove si assiste al desiderio di incorporazione dell’oggetto amato che sarà sostituito, nel corso dell’evoluzione psicosessuale, all’identificazione.
L’incorporazione, o introiezione, rappresenta una forma di identificazione primaria analoga a quella che caratterizza il cannibalismo dei primitivi motivato, secondo Freud, dalla credenza che “assimilando in sé, mediante ingestione, parti del corpo di qualcuno, ci si impadronisce anche delle qualità che a costui erano proprie”. Lo stesso significato di appropriazione è attribuito da Freud al “pasto totemico” compiuto agli albori della storia dell’uomo, quando i figli si allearono tra loro e, dopo aver ucciso il padre che interdiceva loro l’uso delle donne del clan, lo divorarono. Il senso di colpa che ne seguì segnò la fine dell’orda primitiva e l’inizio dell’organizzazione sociale, della morale e della religione.
K. Abraham suddivide la fase orale in due sottofasi:
- di suzione, caratterizzata dalla fusione di libido e aggressività,
- di morsicamento
e attribuisce l’aggettivo cannibalico soltanto alla seconda, dove distingue un cannibalismo parziale da un cannibalismo totale. Quest’ultimo “senza alcuna limitazione è possibile solo sulla base di un narcisismo illimitato. In questo stadio è tenuto in considerazione soltanto il desiderio di piacere del soggetto. L’interesse dell’oggetto non trova assolutamente considerazione; l’oggetto viene distrutto senza alcuno scrupolo. Lo stadio del cannibalismo parziale porta ancora in sé i chiari segni della sua origine dal cannibalismo totale, ma ne differisce anche in modo radicale. il primo inizio di considerazione dell’oggetto fa qui la sua comparsa. Questo parziale riguardo possiamo però considerarlo come primo inizio dell’amore oggettuale in senso stretto, poiché significa l’inizio di un superamento del narcisismo. Aggiungiamo subito che l’individuo, a questo stadio evolutivo, è ancora ben lontano dal riconoscere un altro individuo come tale accanto a sé e dall’amarlo fisicamente o psichicamente nella sua totalità. Il desiderio è ancora quello di prendere una parte dell’oggetto allo scopo di incorporarlo; questo significa nello stesso tempo però una rinuncia alla meta puramente narcisistica del cannibalismo totale”.
Anche Abraham afferma che “gli stati più gravi di rifiuto dell’alimentazione del melanconico rappresentano un’autopunizione per gli impulsi cannibaleschi”, ma il suo interesse per la rappresentazione cannibalica dell’oggetto perduto è rivolto al “lavoro del lutto” in analogia alla concezione che “il lutto, nella sua forma arcaica, si esprime nel divoramento dell’ucciso”.
Tuttavia, mentre con Abraham il gesto cannibalico viene esplorato soprattutto nel suo versante finalistico, con M. Klein questo concetto è impiegato soprattutto nell’area della patologia depressiva, dove la pulsione cannibalica, se è eccessiva, è causa della melanconia:
“Il processo fondamentale della melanconia, secondo Freud ed Abraham, è quello della perdita dell’oggetto amato. La perdita reale di un oggetto reale, o un evento analogo che abbia lo stesso significato, ha come risultato che l’oggetto viene collocato nell’Io. A causa, tuttavia, di un eccesso di pulsioni cannibalesche nel soggetto, quest’introiezione abortisce e ne consegue la malattia”.
La fase cannibalesca è quindi la prima organizzazione della libido in cui l’attività sessuale e il cibo non sono ancora differenziati e la meta sessuale consiste nell’incorporazione dell’oggetto.
L’identificazione è la fase preliminare della scelta oggettuale: l’Io vorrebbe incorporare in sé tale oggetto e, data la fase cannibalesca, vorrebbe incorporarlo divorandolo.
L’aggressività mescolata alla pulsione sessuale è un residuo di appetiti cannibaleschi a cui partecipa l’apparato di impossessamento che serve a soddisfare l’altro grande bisogno (l’assunzione del cibo) ontogeneticamente più antico. Freud sostiene che dei tre più antichi desideri pulsionali: cannibalisno, incesto e omicidio, la nostra civiltà ha vietato a tutti solo il primo. Nel 1921, parlando dell’identificazione e del fatto che essa si comporta come un derivato della prima fase orale dell’organizzazione lipidica, ricorda che “il cannibale rimane fermo a tale stadio; egli ama i nemici che mangia e non mangia se non quelli che in qualche modo può amare” …Jeffrey amava, anche se a suo modo, le persone che uccideva e forse ha amato di più proprio quelle di cui si è cibato.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Fattori di sviluppo e relazioni dell’Io nelle perversioni
Già agli inizi delle sue ricerche, Freud stabili che all’origine delle formazioni perverse esiste “una parte di lavoro mentale”. Tra gli autori che hanno dato un significativo contributo alla spiegazione della genesi delle perversioni, credo importante ricordare la linea di pensiero di Winnicott (1945, 1960) proseguita, in seguito, da Masud Khan.
Winnicott stabilì la necessità e la funzione dell’oggetto materno fornito al bambino piccolo, perché egli possa utilizzare psichicamente le sue capacità congenite legate alla maturazione. L’autore individua inoltre un parallelismo tra gli oggetti transizionali e le relazioni sessuali perverse verso gli oggetti (umani e non). Egli, infatti, afferma che quando l’integrazione delle funzioni dell’lo è disturbata per l’inadeguatezza delle cure ambientali (materne) ciò che, nel normale sviluppo infantile, sono gli oggetti transizionali, nella vita adulta si trasforma in relazioni sessuali perverse. (Winnicott 1951)
Masud Khan fonde alcuni dei concetti kleniani in una prospettiva winnicottiana, ponendo un accento particolare sulla nozione di esperienza “transizionaIe”. L’autore, infatti, ipotizza che nelle fasi infantili dello sviluppo del pervertito siano presenti un tipo specifico di disadattamento o un’eccessiva interferenza dell’ambiente primario (materno), compensati con l’acquisizione da parte dell’lo di una precoce capacità di lavoro mentale che comporta la creazione, nella realtà psichica interna, di un “oggetto interno composito” equivalente, per il pervertito, a quello che Winnicott (1951) definisce, per lo sviluppo normale, l’oggetto transizionale. Questo “oggetto interno composito” può essere esperito e realizzato dal pervertito solo attraverso specifici eventi sessuali.
La differenza tra l'”oggetto” di Winnicott e quello di Masud Khan consiste nel fatto che mentre il primo è qualcosa di esterno (penso al giocattolo) e resta all’esterno come un’entità in sé anche se è sottoposto all’onnipotenza psichica dell’esperienza infantile, il secondo, al contrario, è qualcosa di essenzialmente intrapsichico, e da ciò deriva una continua pressione interna perché sia esternato. Questo esternare è ciò che costituisce l’evento sessuale. Tuttavia, nessun oggetto esterno può assolvere alla funzione di oggetto interno composito perché le caratteristiche dell’oggetto esterno (qualunque esse siano e anche se minime) saranno sempre di ostacolo.
L’oggetto interno composito del pervertito è l’impossibilità di ogni ulteriore introiezione di oggetti interi, perciò.
Da questo punto di vista,il pervertito può essere definito come “una persona che è l’invenzione di se stessa, e che cerca continuamente di sostanziarsi per mezzo della partecipazione personalizzante dell’altro”.
Per questo motivo l’affetto primario nella realtà interna del pervertito non è tanto la depressione, quanto il dolore della delusione ed è quella che spinge a reiterare continuamente proprio quelle modalità sessuali legate alla perversione. In questa ottica, gli oggetti inanimati, che non disturbano con un’attività propria, si adattano, per la loro illimitata disponibilità, a fungere da schermi di proiezione di tutte le fantasie immaginabili consce ed inconsce ma ancor più per tutte le fantasie perverse.
Si potrebbe quindi individuare nel possesso del torace maschile (quale oggetto parziale scollegato dalla persona) l’oggetto interno composito ipotizzato da Masud Khan e, in questa linea di pensiero, mi pare che l’uccisione delle vittime sia il disperato tentativo di far coincidere l’oggetto interno composito con un oggetto esterno e che la decomposizione del corpo sia il motivo della ricorrente delusione che impone a Jeffrey di uccidere ancora.
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Parte 2
Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica. Il colloquio con i genitori di Jeffrey
Lionel Herbert Dahmer si rivelerebbe, nel corso del colloquio, piuttosto silenzioso, riservato, poco espansivo mentre Annette Joyce Flint, al contrario, dimostrerebbe di essere una donna molto emotiva. Sappiamo, infatti, che lo psicologo che si occupò del suo esame psicologico in occasione del divorzio, annotò per il tribunale: “la signora Dahmer soffre di problemi emotivi molto gravi. E’ costantemente arrabbiata ed esigente nelle sue relazioni interpersonali. Continua ad interpretare le motivazioni di chi la circonda e sembra negare il diritto a chiunque a parlare del suo comportamento e degli effetti che esso ha sugli altri”.
Scopo del colloquio sarebbe di raccogliere più notizie possibili su due punti:
1. Su loro stessi, sulle loro famiglie di origine e sui rapporti intercorsi, su eventuali eventi significativi, su eventuali persone con le quali hanno convissuto ed eventuali eventi dolorosi affrontati, sull’andamento del loro matrimonio e sui figli.
2. Su Jeffrey e su ciò che può riguardarlo: la gravidanza ed il parto, la storia del bambino con particolare riferimento a:
- abitudini alimentari (allattamento, svezzamento), tappe dello sviluppo motorio, insorgenza del linguaggio, acquisizione del controllo sfinterico (notizie con cui si potrebbe verificare il graduale sviluppo della libido);
- processo di separazione: eventuale asilo ed ingresso alla scuola elementare (che, sulla base della teoria di Bowlby, fornirebbe notizie sul tipo di attaccamento elaborato da Jeffrey);
- rapporto madre bambino, eventuali ambivalenze, fase preadolescenziale, adolescenziale e completo sviluppo (con cui si approfondirebbe lo sviluppo delle relazioni oggettuali);
- cura del corpo (per verificare sia il progredire delle funzioni dell’lo nel compito di proteggere se stessi sia come assunzione di regole di igiene);
- rapporti di amicizia (per verificare il raggiungimento di una differenziazione);
- gioco: (compresi oggetti transizionali);
- periodo della pubertà (per verificare il tipo di sessualità raggiunta e la presenza dei sintomi di quelle eventuali perversioni che si sono evidenziate in età adulta).
Articolo “Jeffrey Dahmer interpretazione psicoanalitica” di Maria Pichi
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