Disturbi alimentari: trauma e attaccamento
Premessa
Secondo il DSM V i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione “sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione oppure da comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.
In tale categoria rientrano la pica, il disturbo da ruminazione, il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo, l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da binge-eating.
Il presente scritto non si pone come obiettivo l’entrare nel merito dei singoli disturbi alimentari, del trauma e dell’attaccamento, bensì di sviluppare una riflessione a più ampio raggio partendo da un dato statistico significativo: quasi più della metà delle donne con disturbo dell’alimentazione ha subito abusi sessuali, nell’80% dei casi avvenuti durante l’infanzia.
Da qui la necessità di comprendere quale sia il legame che unisce l’abuso al rapporto alterato con il cibo, cosa origina tale connessione e perchè la stessa sia maggiormente evidente, dati di ricerca alla mano (Carter e coll. (2006); Sanci e coll. (2008); Becker e Grilo (2011)), nei casi di anoressia nervosa, bulimia e binge-eating.
Nel tentativo di fornire delle risposte verranno considerati differenti aspetti: la relazione intercorrente tra abuso sessuale e disturbo anoressico-bulimico; il rapporto tra famiglia-attaccamento e disturbi dell’alimentazione e la connessione tra quest’ultimi, i traumi e i tratti personali nonché familiari. Lontani dalla presunzione di arrivare a una conclusione ma con il chiaro intento di provocare delle riflessioni a più ampio raggio nella consapevolezza che la problematica in questione ingloba e coinvolge non un soggetto ma il suo mondo di relazioni.
Disturbi alimentari: trauma e attaccamento.
Abuso sessuale: causa o fattore di rischio?
È un fatto che dopo un trauma si rintracciano delle alterazioni nei sistemi noradrenergico, seratoninergico e dopaminergico che sono gli stessi coinvolti nella regolazione del comportamento alimentare; ciò è particolarmente vero per quanto riguarda la serotonina, che agisce sul centro della sazietà.
Inoltre, i risultati dello studio di Groleau e collaboratori (2012) hanno mostrato che, in presenza di esperienze traumatiche infantili, i geni che agiscono sul sistema dopaminergico possono contribuire sia direttamente che indirettamente ai sintomi bulimici.
Ma entrando nel più profondo, cosa può connettere l’abuso con una forma di disturbo alimentare? Secondo le ricerche degli ultimi anni è un fatto anche l’assenza di un rapporto di causa-effetto tra i due, il loro legame viene posto nei termini di “fattore di rischio”: chi ha subito un trauma, in modo particolare un trauma legato alla sfera sessuale, ha una maggiore probabilità di sviluppare un disturbo dell’alimentazione e la probabilità è mediata, secondo la Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia elaborata dal CISMAI nel 1999, “dal bilancio tra le caratteristiche dell’evento (precocità, frequenza, durata, gravità degli atti sessuali, relazione con l’abusante) e fattori di protezione (risorse individuali della vittima, del suo ambiente famigliare, interventi attivati nell’ambito psicosociale, sanitario, giudiziario)”. Si entra così nel merito della relazione: violenza come fenomeno relazionale, familiare ancor prima che sociale. Familiare perché è un fatto che la maggior parte degli abusi avvenga entro le mura domestiche e che lo sviluppare o meno un disturbo a seguito sia dettato dalla capacità e dalla disponibilità di intaccare l’immagine di perfezione che narcisisticamente la famiglia tende a salvaguardare.
L’adolescenza
Considerando i disturbi della sfera alimentare come appartenenti non all’individuo come soggetto a se stante ma come membro di un gruppo, di una cultura, di un tempo e uno spazio ben definiti, appare giustificato mettere in discussione la relazione intercorrente tra la figura che manifesta il disagio e le persone per lei significative. Ecco perchè in questo paragrafo si cercherà di riprendere quanto le ricerche più attuali hanno raccolto in termini di risultati sul rapporto tra forme di attaccamento e anoressia-bulimia.
Per farlo si rende però necessario in prima battuta presentare una breve riflessione sull’adolescenza, essendo la stessa il momento maggiormente critico per lo sviluppo delle problematiche relative alle condotte alimentari (Chator, 1998).
Possiamo considerare l’adolescenza come periodo di crescita (adolescere in latino significa per l’appunto crescere) nonché di lotta tra la ricerca dell’indipendenza e la paura del raggiungimento della stessa. Kestenberg (1962) a tal proposito sottolinea come una delle sensazioni maggiormente percepite in questo periodo sia il vuoto definito dal non sentirsi più bambini ma allo stesso tempo dal non riconoscersi ancora come adulti. Ecco quindi la costante ricerca della propria identità interiore e del proprio posto nella vita al quale si aggiunge il progressivo desiderio di trovare un’altra persona con la quale soddisfare esigenze di intimità e appagamento.
Il processo adolescenziale culminerebbe così nella formazione di un’identità stabile dell’Io (Erikson, 1972) data da un senso di coerenza unica di comportamento che permette agli altri di crearsi aspettative su come quella persona reagirà o si comporterà e dalla capacità di dirigersi verso l’indipendenza con una persona del sesso opposto senza la paura di perdita del sé (Lidz, 1971).
Nel mezzo, la messa in discussione di una poliedricità di elementi: l’accesso alla genitalità, il lutto per la perdita degli oggetti infantili, i meccanismi di difesa, il narcisismo e ancora l’ideale dell’Io, le identificazioni e il corpo. Non è questa la sede per approfondire ogni singolo elemento ma preme sottolineare quanto avvenga in termini di accesso alla genitorialità e di attaccamento nella prospettiva successiva di mettere tali dinamiche in relazione con lo sviluppo di problematiche alimentari.
L’ottica psicoanalitica sottolinea come nel passaggio a una sessualità matura dove gli impulsi e desideri vengono diretti verso una persona esterna alla famiglia ricopra una certa importanza l’esito della riattivazione del complesso edipico. Il lavoro richiesto è di distogliere i sentimenti sessuali dall’”oggetto genitore” e tale passaggio viene facilitato dalla presenza di un rapporto stabile tra i genitori in grado di mantenere adeguati limiti tra loro stessi e il figlio.
In esso è inclusa però una seconda criticità: la perdita dell’oggetto infantile. L’adolescenza viene così definita anche come un periodo di elaborazione del lutto fatto di tentativi di superare l’esperienza di separazione dalle figure autorevoli dell’infanzia modificando le modalità relazionali, i progetti e i piaceri realizzati con essi.
Famiglia e attaccamento: teorie
Attaccamento e anoressia
Passiamo ora alle teorie sui disturbi alimentari, i traumi e l’attaccamento che, come affermano Bowlby e Ainsworth, vedono l’adolescente evolvere da colui che riceve cure alla posizione di colui che le può fornire. Ma attenzione, ciò non implica la perdita della necessità di contatto con i genitori: il comportamento di “base sicura” rimane centrale e la maggior parte degli adolescenti continuerà a rivolgersi ai genitori in situazioni di stress e gli stessi saranno considerati figure d’attaccamento fino al raggiungimento della giovane età adulta. Il cambiamento si attesta quindi esclusivamente nella qualità della relazione che vede l’adolescente coordinare i propri bisogni e desideri in base alle aspettative di risposta dei propri genitori formando così un sistema flessibile basato su evoluti meccanismi di feedback.
Le modalità di attaccamento influiranno particolarmente su strategie comunicative e di risoluzione dei conflitti: i giovani con modelli di attaccamento sicuro tendono a impegnarsi in discussioni produttive, cercando di mantenere un equilibrio fra ricerca di autonomia e bisogno di attaccamento. I giovani insicuri, al contrario, mostrano una maggiore tendenza all’evitamento del conflitto, così come un maggiore disimpegno nelle relazioni con i genitori.
Nel 1999 Kodak sostiene che differenti modalità di attaccamento siano in grado di predire diverse psicopatologie dal momento che tali strategie suggeriscono diversi approcci nell’affrontare condizioni di forte stress. È da qui che partiremo per considerare la relazione intercorrente tra attaccamento e disturbi della sfera alimentare.
La figura della madre intrusiva
A partire dagli anni ’70 sono diversi gli autori che vedono nel rapporto madre intrusiva-bambino un fattore alla base dello sviluppo dell’anoressia; tra essi:
- Brunch che racconta di una madre incapace di rispettare l’autonomia e i ritmi del bambino già dalle prime precoci interazioni offrendo una risposta a quanto ritiene possano essere i bisogni del figlio piuttosto che ascoltando gli stessi;
- Palazzoli che descrive la madre della ragazza anoressica come intrusiva, emotivamente fredda ed esigente interiorizzata nel bambino come rigida funzione di controllo e perpetuata sul proprio corpo come difesa dall’ansia scaturita in adolescenza dalle proprie esigenze libidiche e di separazione;
- Matterson che sottolinea il tentativo di annullare la paura dell’abbandono da parte della madre in adolescenza di fronte a segnali di conquista di indipendenza bloccando la maturazione del corpo che diventa specchio del rifiuto della maturazione psicologica autonoma.
Ecco quindi un filo conduttore che si attesta nel fallimento nello sviluppo del processo di individuazione-separazione come origine dei disturbi della sfera alimentare, che tradotto nella teoria dell’attaccamento delinea bambini “insicuri” quando il sistema di attaccamento viene minacciato da una separazione. Il concentrarsi sul corpo potrebbe essere pertanto un tentativo di fuggire all’ansia inevitabilmente presente nella separazione dalla famiglia e nelle nuove relazioni (attaccamento distanziante, Main e Goldwyn, 1994) o in alternativa un’ipervigilanza per la paura del giudizio degli altri, dell’essere respinto o abbandonato (attaccamento preoccupato, Striegel-Moore, Silberstein e Rodin, 1993).
Attaccamento e bulimia
Anche la bulimia può essere ricondotta a un modello di attaccamento insicuro, in questo caso ambivalente: l’angoscia di separazione porterebbe a perdita del controllo e della volontà associate a una assunzione smodata di cibo (O’Kearney, 1996). Le ricerche sviluppate negli ultimi anni sembrano confermare la connessione tra aspetti specifici dell’attaccamento e comportamenti alimentari alterati, pur mancando una prova incontrastabile sulla solidità di tale rapporto: più volte si è giunti alla conclusione della presenza di modalità di attaccamento insicuro nel gruppo di soggetti affetti da anoressia e bulimia, ma è pur vero che non tutti coloro che hanno maturato un attaccamento insicuro presentano difficoltà nel rapporto con il cibo.
Allo stesso tempo, la maggior parte degli studi risultano carenti in termini di gruppi di controllo e soprattutto, assodata la connessione tra stile “insicuro” e disturbo alimentare, ancora non risulta chiara la direzionalità della relazione.
Quanto rimane certo è che di fronte a una psicopatologia non sia possibile fermarsi ad analizzare un solo elemento additandolo a unico fattore eziologico: se vero è che lo stile insicuro risulta legato alle difficoltà alimentari, pur vero rimane che lo stesso possa essere mitigato o sottolineato da fattori quali temperamento, comportamento attuale dei genitori, fattori ambientali, relazioni con i coetanei etc. ed è solo un’analisi completa del singolo caso che permetterà la comprensione dello stesso e un adeguato intervento terapeutico.
Disturbi alimentari: trauma e attaccamento.
Tratti di personalità e tratti familiari
Eppure cibo anche come simbolo del controllo su di sé, strumento di affermazione di fronte alla negazione di un’identità propria in risposta a una madre narcisistica che fa della figlia la proiezione di quanto lei stessa desidera o non ha ottenuto nel corso della sua vita. Cibo quindi come affermazione di essere, esistere e prepotentemente pretendere l’IO SONO abbuffandosi della vita avidamente per poi rifiutarla attraverso il vomito… o all’opposto, dimostrare l’io posso non essere un individuo a se stante, distaccato da mia madre o un adulto fatto di impulsi sessuali e corpo mutato rifiutando la fame, sfidandola per bloccare la crescita al punto di bambina.
Anoressia e bulimia come due facce della stessa medaglia fatta della solidità di una madre invischiante ma anche di un conflitto di fronte a uno specchio che mostra un essere nuovo e “mostruoso”.
A parlare di ciò è Recalcati, nella connesione di amore e odio nei confronti della tavola, che altro non è che metafora del conflitto verso il sé reale, distante dall’immagine idealizzata di corpo magro in una esteticizzazione estrema dell’immagine del corpo, e proiezione della lotta verso una madre troppo presente e di un padre incapace di assumere un ruolo direttivo, di essere legge in quel passaggio dall’essere bambino a divenire adulto (evaporazione del padre).
E a sottolineare la crisi familiare è Baldassarre, nel suo libro “Coppia, famiglia e patologie emergenti” in una rappresentazione dettagliata del chi sia la ragazza adolescente anoressica-bulimica e soprattutto del come sia la sua famiglia:
C’è una madre che tende a proiettare sulla figlia il proprio narcisismo rendendola sorda nell’ascoltare i veri bisogni della figlia; madre che si dimostra disponibile, preoccupata ma che non appena avverte la possibilità di uscita dalla malattia ostacola il processo terapeutico per la paura della separazione dalla sua bambina. C’è un padre, un padre-bambino incapace di svolgere la sua funzione genitoriale, fascinato dalla figlia con la quale mantiene un atteggiamento seduttivo e succube della potenza della moglie. C’è una figlia, agli occhi di tutti perfetta: brava a scuola, diligente, intelligente che per tutta l’infanzia ha negato parte di sé pur di essere la realizzazione dell’ideale dei genitori ma che si ritrova al giungere dell’adolescenza a dover integrare i cambiamenti fisici e pulsionali nell’unità psichica dimostrandosi impreparata; e c’è una famiglia, unita da un legame perverso che non lascia alcuna via d’uscita a una ragazza a cui non resta altro che “rifugiarsi nella regressione, manipolando il suo mondo ristretto perché incapace di confrontarsi con l’esterno, rimanendo schiacciata dall’impossibilità di assumere il ruolo emotivo di donna” abituata che i conflitti possono e devono essere insabbiati, l’apparenza prima di tutto.
Disturbi alimentari: trauma e attaccamento.
La punizione del corpo
Anoressia e bulimia come specchio del disagio intrapsichico spesso esploso dal trauma della violenza o dell’abuso entro le mura domestiche che richiedono un’integrazione, un nuovo adattamento che il soggetto non è in grado di attuare. Tradimento da parte di chi per ruolo deve proteggere, che si trova nella posizione di essere protetto attraverso il silenzio perchè ciò che fa è normale, quasi giusto e non deve riguardare il mondo al di fuori.
Allora interviene il corpo, unico possesso di chi non sa più chi sia e che cosa debba essere: corpo che può scomparire, regredire allo stato di bambino per non essere più attrattivo e invitante, corpo che può esplodere perchè la richiesta d’amore è un grido di “ancora, ancora” nel tentativo di colmare un vuoto; corpo che può essere punito perché non si è stati in grado di opporsi; corpo che diventa strumento di sfogo della rabbia e della frustrazione che non si può rivolgere all’abusante.
Controllare il cibo per rivivere gli affetti associati al trauma mantenendone il controllo; avere un potere che l’abuso ha tolto; poter dire di no, isolando le pulsioni e innescando dei rituali di annientamento per riproporre l’orrore subito e ridurre il corpo a puro scarto; creare uno spazio sicuro all’interno del quale non fare fatica a muoversi attraverso la ripetizione costante in un godimento fatto di eccittazione confusa che mescola indistintamente sofferenza e piacere (Recalcati, 1998).
A cura di Adriano Legacci, Elisa ravazzolo
1 commento
Le tue informazioni sono molto interessanti. Grazie per aver condiviso