Adozione e psicologia: trauma, riparazione, pensabilità
Adozione e psicologia. L’esperienza traumatica primitiva, la funzione genitoriale, il superamento del trauma.
Ad ogni primo incontro
«(…) il mio passato era stato un pozzo in cui io avevo spesso
gettato un secchio che non tornava mai su pieno.»”
Asha, adottata all’età di sette anni.
(Artoni Schlesinger, 2006)
Un diritto negato
Adozione e psicologia.
Condizioni essenziali allo sviluppo psicoaffettivo e corporeo del bambino sono sicuramente la stabilità, la continuità, la sicurezza e l’affidabilità di figure genitoriali amorevoli. In parallelo con la considerazione delle carenze, più o meno gravi, che il bambino adottivo può aver subìto, può essere utile un accenno agli elementi caratterizzanti una buona relazione primaria che dovrebbero costituire un diritto di tutti i bambini.
La qualità delle cure genitoriali, in particolari materne, lascia inevitabilmente un’impronta nella vita psichica di ogni essere umano e le primitive esperienze vissute dal bambino, se non adeguate al suo livello di sviluppo e non esperite nell’ambito di un positivo rapporto genitoriale, si delineano come potenziali fattori traumatici.
Adozione e psicologia: l’importanza della funzione materna
Nei primi stadi dello sviluppo infantile, il bambino e la madre sono un tutt’uno indivisibile: all’interno di questa originaria unione, il bambino non percepisce la madre come un oggetto distinto da sé e i suoi confini corporei e psichici sono ancora indefiniti. La madre prepara per il piccolo ciò che Winnicott definisce un ambiente sufficientemente buono, ovvero un ambiente relazionale e fisico che introduca con gradualità il bambino al mondo esterno e alla scoperta di tutto ciò che è separato da sé. All’interno di questo spazio sicuro, prevedibile ed accogliente, la madre garantisce al bambino una continuità dell’esistenza e gli consente di porre le basi per il raggiungimento di fondamentali conquiste, tra cui una personalità integrata, il senso di realtà, una buona sicurezza interna, la capacità di avere fiducia, di sperare e di saper tollerare le frustrazioni.
Una primitiva forma di comunicazione fra madre e bambino assolve ad un principale compito materno: la madre, ponendosi in uno stato di completa ricettività ai segnali del bambino, è capace di contenere e “tradurre”, ovvero conferire un significato, alle emozioni e sensazioni spiacevoli che l’apparato psichico immaturo del piccolo non è in grado di elaborare. Il bambino invia alla madre elementi psichici per lui insopportabili, e l’Io materno, maggiormente strutturato, può restituirglieli in una forma più tollerabile e pensabile.
Questo scambio tra madre e bambino rappresenta anche una caratteristica centrale della costruzione del legame adottivo, che consente, in condizioni favorevoli, l’accoglimento e la significazione di contenuti interni legati ad esperienze vissute sul piano somatico ma non accessibili al pensiero, per via della loro valenza traumatica e/o perché accadute in fasi troppo precoci dello sviluppo psichico.
Importanti funzioni materne veicolano inoltre le prime organizzazioni del pensiero infantile e la possibilità di rappresentarsi gli eventi sia del mondo esterno che del mondo interno. Quando le esperienze di gratificazione – come l’arrivo tempestivo di un seno nutriente – superano quelle, seppur importanti, di frustrazione – come l’assenza del seno cercato – il bambino potrà ricorrere al suo bagaglio interno di “seni buoni” per tollerare questa assenza e provare piacere solo immaginando l’oggetto. Questo rappresenta un importante traguardo per lo sviluppo psichico del bambino, che, passando dal bisogno al desiderio della madre, potrà ora riconoscerla nella sua totalità e differenza da sé. Avendo interiorizzato la relazione, il bambino possiederà dunque le risorse per accettare le assenze fisiche della madre e avviarsi lungo il percorso che lo porterà al raggiungimento dell’indipendenza.
Il Trauma
Il tema dell’adozione e psicologia è imprescindibile da quello del trauma, considerato nei suoi molteplici aspetti che coinvolgono tutti i membri del nucleo adottivo.
Il trauma, o le relazioni traumatiche, che si verificano negli anni dell’impotenza infantile, cogliendo una apparato psichico ancora immaturo, possono assumere la forma di esperienze impensabili, ovvero esperienze che il bambino ha originariamente “sentito” e vissuto, ma che non ha potuto trasformare in pensiero. Per diverse ragioni, tra cui l’età precoce del bambino che non ha ancora acquisito la capacità di rappresentarsi gli eventi, o la violenza del trauma che distrugge ogni nesso logico, queste esperienze restano prive di qualsiasi senso originario. L’esperienza traumatica primitiva non è integrabile nella storia del soggetto, ma come un nucleo isolato di non-senso continua ad orbitare intorno alla personalità in via di sviluppo; anche dove non possono essere rievocati ricordi coscienti, le sue tracce restano iscritte nei registri più profondi dell’essere.
Oltre alle frequenti esperienze di maltrattamento, abuso, cure negligenti, e la variabilità di situazioni più o meno traumatiche precedenti alla dichiarazione di adottabilità, la condizione di abbandono, comune a tutti i bambini adottati, rappresenta di per sé un’esperienza a cui non può essere attribuito un senso, dal momento che viene a mancare proprio la figura affettiva che avrebbe dovuto assolvere alla funzione di significazione degli eventi incomprensibili.
Più il bambino è piccolo e meno il suo apparato psichico sarà in grado di pensare questa esperienza; la situazione traumatica incapace di divenire pensiero si esprimerà prevalentemente su un registro concreto, attraverso agiti e comportamenti apparentemente anomali.
Gran parte di queste manifestazioni sono legate alla profonda ferita inferta all’immagine di sé: indipendentemente dalle reali cause che hanno scatenato l’abbandono, il vissuto soggettivo comune a questi bambini è quello di essere stati abbandonati, e quindi rifiutati, in quanto inadeguati, cattivi, sbagliati o non meritevoli di amore. Sulla base di tale rappresentazione di sé, si instaura il senso di precarietà che, in varie forme, emerge nel comportamento manifesto dei bambini, rivelando la sottostante paura e attesa di un nuovo abbandono.
Prima di affidarsi alla nuova situazione familiare il bambino dovrà quindi mettere alla prova, attraverso varie modalità, l’affidabilità e la stabilità di quell’ambiente.
Le conseguenze del trauma
Il bambino provocatore, rifiutante e oppositivo e il bambino compiacente esprimono con manifestazioni differenti lo stesso senso di precarietà e la stessa richiesta, più o meno implicita, di conferme e accettazione. In certi casi, la manifesta adattabilità del bambino compiacente può rendere invisibile la fonte originaria del suo stesso comportamento e colludere con l’aspettativa e il desiderio inconscio dei genitori di creare fin da subito il perfetto nucleo famigliare, da molto tempo atteso. D’altra parte, il bambino provocatore mette in atto comportamenti che lo rendono paradossalmente sempre meno accettabile e che si pongono al limite tra richieste di accoglimento e tentativi di convalidare le precedenti esperienze di abbandono e rifiuto.
Tuttavia queste estenuanti sfide rispondono al compito principale del bambino adottato, che consiste nel modificare le sue rappresentazioni interne che ruotano attorno al sentimento di non essere voluto. Inoltre, come sostiene Winnicott, atteggiamenti che, anche se in modo consapevole, provocano una risposta da parte dell’ambiente a cui sono diretti, indicano che il bambino nutre ancora delle aspettative da parte di quello stesso ambiente.
Il comportamento apparentemente incomprensibile può allora acquisire un senso nella mente dei genitori adottivi, consapevoli di non essere i reali destinatari di tali manifestazioni, ma capaci di accogliere l’angoscia sottostante e darle una forma che veicoli un messaggio di totale accettazione.
Anche a distanza di anni, quando il legame affettivo è ormai consolidato, il senso di precarietà e insicurezza spesso riemerge in circostanze particolari, come una vacanza o un cambiamento nella routine quotidiana, che possono rievocare le antiche esperienze traumatiche.
Il lutto
In associazione al tortuoso compito di ri-definizione di sé, il bambino adottato deve anche affrontare un duplice lutto, rivolto sia ai genitori naturali sia al paese di origine.
L’elaborazione della perdita dei genitori naturali, le cui rappresentazioni continueranno comunque ad esistere nel mondo fantasmatico del bambino, è in molti casi complicata da alcuni fattori. In primo luogo, i genitori non sempre sono deceduti e ciò può scatenare e alimentare la fantasia che essi continuino a vivere, magari insieme ai fratelli che non sono stati abbandonati.
Spesso il processo del lutto è anche complicato dalle evanescenti promesse di ricongiungimento che i genitori naturali rivolgono al bambino al momento dell’abbandono. Anche in assenza di tali promesse, è comprensibile che il bambino nutra comunque la speranza e l’attesa di riunirsi al genitore scomparso. La sensazione di tradire i genitori naturali legandosi ai genitori adottivi, amplifica l’ambivalenza del bambino e rende più difficile il processo del lutto. Se inoltre il bambino era molto piccolo al momento dell’abbandono, ciò che ha perduto non era stato ancora riconosciuto nella sua interezza e differenza e l’elaborazione della sua assenza sarà complicata dall’impossibilità di dare all’oggetto una collocazione interna definita, che ne consentirebbe la rievocazione e il pensiero.
Questa perdita subita passivamente, spesso senza un adeguato supporto esterno, si somma alla perdita dell’ambiente originario, fatto di elementi vissuti, percepiti o solo sentiti, ma che in ogni caso fanno parte del bagaglio interno del bambino.
Le origini diventano un mondo lontano, allo stesso tempo familiare ed estraneo, dove il bambino è nato e che ha conosciuto soprattutto attraverso modalità sensoriali. Come sottolinea Artoni Schlesinger, i residui di queste primitive esperienze sensoriali vissute, anche a pochi mesi di età, nel proprio ambiente d’origine non hanno accesso alla coscienza e non diventano pensiero perchè troppo precoci, ma vengono accuratamente conservati in un sistema di memorie implicite inconsce. Le tracce di queste percezioni e sensazioni primordiali persistono così nell’inconscio del bambino adottato e possono emergere nei suoi disegni o nelle parole improvvisamente pronunciate nella lingua originaria.
Si suppone dunque l’esistenza di una particolare forma di memoria primitiva che include sia le tracce di primitive esperienze sensoriali vissute nell’ambiente d’origine, sia i residui di antiche situazioni traumatiche precoci e non elaborabili, per le quali è stato sbarrato l’accesso alla pensabilità.
Tra queste, si associano all’abbandono anche le inevitabili esperienze di rottura della continuità dell’esistenza, che si concretizzano sia nei frequenti spostamenti e cambi di figure di riferimento sia nello sradicamento dalla terra in cui, in condizioni normali, il bambino sarebbe dovuto crescere e svilupparsi. Artoni Schlesinger parla di un tronco tagliato, per definire ogni bambino che deve fare i conti con tale strappo originario. Questa cesura separa irrimediabilmente un prima, che ha a che fare con un mondo sensoriale perduto e non ritrovabile nelle proprie memorie, e un dopo, reale e tangibile, ma privo del collegamento con le origini, garantito in condizioni normali da un ambiente che fornisca il senso di continuità del proprio esistere. Nel mezzo di questa spaccatura alberga il buco delle origini, che, pur non essendo colmabile, può essere attraversato, accolto e condiviso da tutti i membri del nucleo adottivo.
Adozione e psicologia.
L’incontro tra due diversità: l’inizio della riparazione
L’adozione può essere considerata come l’incontro di due traumi, quello del bambino e quello dei genitori che nella maggior parte dei casi hanno dovuto attraversare l’intricato percorso della mancata genitorialità biologica.
Ma l’adozione è anche l’incontro di due diversità.
Come l’innesto di sezioni appartenenti a due differenti piante dà vita a un nuovo elemento, non riducibile alla somma delle sue parti, l’insieme di queste due diversità ne produce una terza, dal carattere unico ed esclusivo. Affinché la diversità diventi una risorsa, e non un ostacolo, alla costruzione del legame adottivo, è necessario da parte dei genitori accettarla e accoglierla, nella profonda consapevolezza che quel bambino non è nato dal loro corpo, e, anche se ha poche settimane di vita, possiede una propria incancellabile storia a cui loro non hanno partecipato.
La funzione dei genitori adottivi
Adozione e psicologia.
L’ombra del passato inconoscibile è infatti fonte d’angoscia sia per il bambino che per i genitori, soprattutto nei casi in cui la storia passata è stata contrassegnata da violenze e gravi deprivazioni. Saper tollerare l’oscurità e il mistero del vuoto originario è una caratteristica essenziale per la creazione di un clima relazionale accogliente e privo di tabù, solitamente derivanti da una non sufficiente accettazione della diversità.
Se è impossibile ripercorrere gli eventi di un passato sconosciuto o lontano dalla coscienza e dare risposte esaurienti, è però possibile da parte dei genitori comprendere e condividere proprio quel dolore di non sapere, dando ascolto a tutte quelle ombre fino a quel momento terrificanti poiché contenute in una mente immatura incapace di digerirle. Il recupero della memoria diviene allora possibile nell’ambito della relazione adottiva, dove più che i fatti realmente accaduti, di cui spesso si sa poco o nulla, viene dato ascolto ad una voce più profonda: quella delle origini perdute, delle esperienze non significate, delle violente cadute causate da mani che non hanno tenuto e da menti che non hanno contenuto, di tutte le angosce, pensabili e non, che sopravvivono nel loro stato grezzo, inelaborato e dunque intollerabile.
Dalla mente dei genitori adottivi e dalla loro capacità di contenimento possono così nascere nuovi sensi, che prendono forma lungo un cammino – quello della costruzione del legame adottivo – dalle potenzialità trasformative e riparative.
Ricostruzione di una storia condivisa: la reale riparazione.
Adozione e psicologia.
Un irrinunciabile bisogno con cui il bambino adottivo si presenta ai suoi genitori è infatti quello di essere presente nella mente di un Altro significativo.
Le future mamme e i futuri papà adottivi, durante il lungo percorso di attesa, cominciano a preparare lo spazio fisico, mentale ed emotivo per quello che sarà il loro bambino: è il periodo della gravidanza psicologica, che anticipa quello che sarà poi un parto mentale – talvolta riprodotto in forma di gioco – dal quale potrà iniziare a crearsi un vero legame di reciproca appartenenza.
Anche gli atteggiamenti regressivi messi in atto dal bambino indipendentemente dalla sua età, come esplicite richieste del biberon, del ciuccio, del pannolone, del seno della mamma adottiva o preferenze per giochi e attività adatte a bambini di età inferiore, hanno un carattere evolutivo e si inseriscono nel percorso che il bambino intraprende per diventare il figlio di quei genitori che prima non c’erano.
Da un intenso lavoro comune di ricucitura, trasformazione e scoperta di antichi e nuovi sensi, sarà possibile (ri)costruire una storia condivisa, che accoglie e partecipa al dolore, anche a quello che non si può esprimere e a cui non possono essere date risposte.
Nella costruzione della storia, gli eventi potranno essere collegati tra loro favorendo il ripristino di un senso di continuità precocemente interrotto ed il passato, lontano e irraggiungibile, potrà congiungersi al presente attraverso un ponte costruito con mattoncini sia reali che fantasmatici.
Adozione e psicologia. Disegni
Ogni bambino si presta ad essere l’esclusivo narratore della sua storia, unica e non comparabile alle altre. Alcuni frammenti di queste storie possono essere raccontati, attraverso il disegno, dalle stesse mani di chi le ha vissute. Alcuni raffigurano bambini senza volto, con un’identità nascosta nei tasselli mancanti delle loro origini; in altri, in cui emerge il tema della diversità somatica, ci sono bambini con la pelle scura, ma colorati di rosa proprio come i loro nuovi genitori. Altri ancora raccontano efficacemente la questione misteriosa della mamma della pancia, che prende la forma di un grande pesce capace di contenere al suo interno tanti pesciolini più piccoli, con sembianze a volte rassicuranti a volte vagamente mostruose.
Adozione e psicologia. Note
(*) L’articolo è un estratto della tesi di laurea: “Indelebili tracce di una ferita primaria. Uno studio psicoanalitico sul trauma nel vissuto del bambino adottato” di Serena Terigi.
2 commenti
Buongiorno.so che questo spazio è dedicato soltanto ai commenti, ma provo ad avere un aiuto sperando che dall’altra parte ci sia un dottore. Sono Daniela, 39 anni. Incinta con Marco 37 anni. Adesso la nostra storia di un anno di tribolazioni psicologiche si è allontanata ma abbiamo ancora speranza. Ho saputo che è stato adottato e mi spiego su milioni di domande poste di comportamenti allucinanti. Sono sicura che lui non lo sa e che merita una spiegazione ad una vita di afflizioni e di accettazione nella società. Vorrei essere aiutata per capire come farlo. È il padre di un futuro prossimo di mio figlio. Lo amo. Lo merita. Secondo me Deve sapere. Grazie se mi aiutate.
Gentile Daniela, esistono alcuni passaggi vitali in cui è importante avere qualcuno a cui rivolgersi. Una consulenza on line non potrà fornirle le risposte necessarie. Le suggeriamo di cercare un professionista nella sua area di residenza
https://www.psicologi-psicoterapeuti.it/elenco/